Alice in Borderland: cosa faresti per salvarti la vita?

 

La serie televisiva nipponica è un folgorante mix di generi e trovate narrative ad alta tensione, ma ciò che più affascina è la portata filosofica dei dilemmi che presenta allo spettatore.

 

di Antonio Lombardi

 

Alice in Borderland (今際の国のアリス), regia di Shinsuke Sato, è una serie televisiva giapponese distribuita da Netflix il 10 dicembre 2020 che mescola fantascienza, distopia, thriller e survival. Ma questo mix di generi non ne esaurisce la potenza drammatica e l'evocatività concettuale. Quando un caro collega me la consigliò, mi assicurò che non si trattava di una "nerdata". A primo impatto, infatti, i personaggi, l'estetica, la trama e le scelte stilistiche potrebbero suggerire di trovarci di fronte alla trasposizione di un ennesimo manga, che ripropone in una specie di guazzabuglio stereotipi già ampiamente visti altrove: la distopia apocalittica (che in parte ricorda la Dissipatio di Guido Morselli); il gioco perverso e cervellotico alla Death Note o alla Saw; il ruolo totalizzante e potenzialmente catastrofico della tecnologia tematizzato in Black Mirror; la riflessione sul fenomeno Hikikomori presente in Evangelion; combattimenti al rallentatore in stile Matrix e spruzzi di sangue da film tarantiniano.

 

Eppure, per quanto non si tratti di elementi meramente accessori, questi costituiscono la cornice per una riflessione molto più profonda che si svolge lungo tutto l'arco delle 8 puntate della prima stagione: fino a che punto vale la pena sopravvivere? O, ancora più radicalmente, perché?

 

Il protagonista Arisu (Kento Yamazaki), ragazzo ossessionato dai videogiochi e ormai ritrattosi quasi completamente dalla vita sociale a seguito della morte della madre, condivide gioie e dolori di una Tokyo a un tempo asfissiante e mozzafiato assieme ai suoi due amici, Daikichi e Chōta. Tutti e tre si sentono "stretti" nelle loro esistenze di ragazzi qualunque, fatte di disagi sociali, difficoltà lavorative, insoddisfazioni affettive. E infatti, incontratisi un giorno nei pressi dell'immenso e affollatissimo incrocio di Shibuya, per fare un po' di baldoria e dimenticarsi per un attimo di tutto commettono inavvertitamente una bravata che dà luogo a un inseguimento con la polizia. I tre riescono a nascondersi in un bagno della stazione. Ma alla loro uscita la Tokyo che conoscevano non c'è più: è deserta.

 

Quel che è successo è un mistero. Ma Arisu e soci scoprono ben presto di non essere completamente soli, e che insieme ad altri "superstiti" sono costretti a giocare a dei game mortali il cui premio è apparentemente solo quello di conquistarsi altri giorni di vita prima di giocare ancora. Se al termine del "permesso" non si partecipa a un altro game si viene seduta stante fulminati da un laser che piomba dal cielo. Se durante il game si prova a scappare, la sorte è la stessa: intorno alle "arene" ci sono dei confini simili a dei fotorivelatori, che individuano ed eliminano i disertori. Inoltre nessun dispositivo elettronico funziona, tranne quelli che improvvisamente si attivano per segnalare le arene o che sono messi a disposizione durante i giochi. Non si sa chi c'è dietro questo meccanismo perverso, chi sia il game master. La scelta diventa una sola: giocare e cercare di non morire, costi quel che costi.

 

Ogni game è contrassegnato da una carta francese, che ne indica difficoltà (da 1 a 10) e tipologia: quelli di fiori sono i giochi di squadra, i giochi di picche hanno a che vedere con la forza fisica, i giochi di quadri sono rompicapo, i giochi di cuori mettono alla prova i rapporti umani. Ed è proprio in questo caso che i protagonisti sono posti di fronte a dilemmi laceranti, perché quando si gioca coi "cuori" per vincere, e quindi vivere, bisognerà tradire i propri amici. C'è un modo per evitarlo? Apparentemente no. Per salvarsi "l'anima", allora, non c'è altra via che quella di scegliere la morte?

 

Fatto sta che Usagi (Tao Tsuchiya), una giovane alpinista che Arisu conosce nel corso di un violentissimo gioco di picche e a cui chiede «Che cosa è tutto questo?», è giunta a una sconcertante rivelazione: «Io non ho una risposta, però mi sono resa conto di una cosa che non immaginavo: non c'è nulla che non farei pur di salvarmi la vita». Ma è davvero così?

 

In effetti ognuno dei personaggi si relaziona alla spietata insensatezza del gioco in maniera differente. E qui si aprono i risvolti più interessanti di Alice, il cui mondo (dai superstiti chiamato "Paese") diventa una metafora del nostro mondo ordinario: un ciclo perpetuo di violenza, competizione, lotta per la vita, con qualche sprazzo di amicizia e collaborazione, ma in definitiva sempre in procinto di riavviare il gioco e mettere tutti contro tutti. E ciò senza nessuna ragione apparente, e senza nessuno che sembra averlo "creato" e "organizzato".

 

C'è chi, esausto, decide di non partecipare più e aspettare che il laser gli perfori il cranio. C'è chi si convince che sia soltanto un incubo, e che presto si risveglierà nella Tokyo normale. E poi ci sono quelli che interpretano la bruta fattualità del gioco provando a scorgervi un disegno: è il caso del Cappellaio (Nobuaki Kaneko), convinto che collezionando tutte le carte del mazzo riuscirà a tornare nel "mondo vero", e che ha messo in piedi una sorta di setta o di "Chiesa", chiamata La Spiaggia, allo scopo di vincere i giochi restanti con la promessa di riavere il Paradiso.

 

Ma questa è soltanto una sua supposizione. E infatti alla visione "religiosa" del Cappellaio si oppongono quelli che credono che il "mondo vero" sia proprio il Paese, perché esso è il luogo in cui la patina delle convenzioni sociali si è scrostata, lasciando spazio alla vera essenza dell'umano. «Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: Quale mondo ci è rimasto? Forse quello apparente? Ma no! Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente!» (F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli).

Queste le agghiaccianti parole che Niragi (Dori Sakurada) sussurra a Usagi, mentre la lecca ed è in procinto di violentarla:

 

« Violenza, stupri, frodi, incendi, omicidi. Secondo te perché la legge condanna questi reati? Perché sono vietati e considerati dei crimini? È perché fanno parte di noi. Lasciati senza controllo gli umani stuprano, rubano, uccidono. Perché è questa la nostra vera natura. Qui non ci sono leggi che ci trattengano. E sarebbe un vero peccato non approfittarne, no? Perché in fin dei conti è la nostra vera natura il nostro potere! »

 

Anche qui sembra risuonare la voce del Nietzsche di Al di là del bene e del male:

 

« La vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è estraneo e più debole, oppressione, durezza, imposizione di proprie forme, un incorporare o per lo meno, nel più temperato dei casi, uno sfruttare, [...] non trovando in una qualche moralità o immoralità il suo punto di partenza, ma per il fatto stesso che vive, e perché la vita è precisamente volontà di potenza. »

 

Last Boss, prima del suo arrivo nel Paese, era un neet senza alcuna motivazione se non la sua passione al limite del patologico per gli esploratori famosi. Arrivato nel "nuovo mondo" cambia completamente aspetto e diventa un sanguinario spadaccino, la cui unica ragione di vita è quella di uccidere gli altri . Poco prima di morire si lascia andare a una riflessione che mette i brividi:

 

« L'esploratore che ha raggiunto il Polo Nord ha visto il mondo per com'è davvero: senza le illusioni della civiltà. Quando tutto finisce, semplicemente torniamo alla terra. In questo Paese valgono le stesse regole. Sono felice di averlo visto. Adesso sono più libero che mai. »

 

Interessante è notare che nella loro vita precedente questi giocatori "tellurici" vengono presentati come vittime di bullismo o addirittura come sociopatici. Ma in effetti tutti i superstiti sembrano avere in comune un passato difficile. Questo è ovviamente anche il caso di Arisu o della guerriera transgender Kuina (Aya Asahina): cacciata di casa dal padre maestro di arti marziali perché effemminata, ella sa che non è possibile mai lasciarsi definitivamente alle spalle il proprio trascorso, e che esso continua ad agire anche nel Paese, determinando quello che si è – per quanto complicato, bisogna perciò imparare a riappacificarvisi.

 

Arisu, a differenza del Cappellaio e dei suoi nemici, non ha nemmeno una vaga idea di che cosa sia il Paese: vuole scoprirlo, e andare avanti nel gioco cercando di far morire il minor numero di persone, senza rinunciare alla possibilità dell'amicizia o dell'aiuto reciproco. Si può portare avanti l'"assurdo" della solidarietà in un mondo in cui la regola è uccidere per non venire uccisi?

 

11 gennaio 2021








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