Italianità e filosofia dell'essere. La terza navigazione di Vittorio Possenti

 

Nel suo ultimo libro, il filosofo Vittorio Possenti rimette al centro il filone epistemico della grande filosofia italiana, discutendone gli esiti metafisici novecenteschi e proponendo una versione realista della filosofia dell'essere.

 

 

La metafisica è immortale. Negli ultimi anni lo si riscontra persino nei paesi anglofoni, dove in ambito analitico si sta assistendo a un insperato proliferare di linee di ricerca che rivendicano per sé il titolo di “metafisiche”. Quando invece solo pochi decenni fa si viaggiava all’insegna dell’idea di Rudolf Carnap per la quale la metafisica altro non sarebbe che “un insieme di pseudoproposizioni”. Insomma, un mucchio di discorsi insensati.

 

Nel caso del contesto anglosassone si tratta perlopiù di una rinascita, seguita alla grave crisi novecentesca. Di che tipo di rinascita si tratti, poi, è ancora tutto da valutare. Frattanto, s’apprezza lo sforzo. In Italia, invece, la metafisica non è mai del tutto perita. Anzi, si può dire che a partire dal Risorgimento (almeno da Rosmini in poi) essa abbia conosciuto una propulsione sconosciuta in qualsiasi altra parte del mondo, dando vita nel corso del secolo successivo a quel ricchissimo filone della filosofia che mi piace definire “epistemico”. E cioè sinceramente interessato a portare dei contenuti veritativi sul piano formale dell’intero d’esperienza, attraverso una ostinata fiducia nelle potenzialità del logos. I suoi maggiori protagonisti sono indubbiamente stati, per citare giusto alcuni nomi, Giovanni Gentile, Pantaleo Carabellese, Gustavo Bontadini, Emanuele Severino. Essi arrivarono a contrapporsi anche strenuamente, ma sempre nella schietta consapevolezza che «la filosofia o è anche metafisica, o non è» (P. Carabellese, Il problema teologico come filosofia). Erano perciò convinti, pur nel conflitto e nella non rara pedanteria delle piccole differenze, di star contribuendo a una causa comune.

 

Tale filone, però, dopo la fine del secondo conflitto mondiale è divenuto del tutto minoritario, a seguito dell’importazione massiccia di filosofemi, autori e parole d’ordine mutuati dalla cultura inglese, francese e tedesca. Introduzione in più di un caso motivata da mera “esterofilia”, cioè da un assoluto e astratto bisogno di “svecchiare”, dettato indubbiamente dalla voglia di scrollarsi di dosso il fardello della catastrofe bellica. Ma non è voltando le spalle al passato che è possibile procedere con sicurezza verso il futuro, anzi.

 

J. Colson, "Figure metafisiche"
J. Colson, "Figure metafisiche"

Da molti anni lo va denunciando uno dei “superstiti” di quel γένος epistemico, Vittorio Possenti, che qualche anno fa ha osservato che «in tal senso è un tempo di quaresima specialmente nel campo teoretico-metafisico», e ancor oggi, nel 2020, ribadisce che «una filosofia che non ha radici antiche diventa presto vecchia». Egli è anzi convinto che, addirittura a partire dal lascito speculativo dell’Aquinate, la filosofia italica abbia messo capo a una terza navigazione che porterà a compimento l’intendimento del principio dell’essere cominciato coi presocratici:

 

«Introducendo circa vent’anni fa il termine-concetto di ‘terza navigazione’, ho inteso collegarmi e ‘riprendere’ la nota metafora platonica della seconda navigazione svolta nel Fedone, ma estendendone ed oltrepassandone il concetto verso la nuova e finale terza navigazione. Essa si pone all’interno dell’alleanza socratico-mosaica e stabilisce dal lato della vicenda della metafisica il suo non plus ultra. Ciò significa che nel rapporto tra metafisica greca e metafisica successiva il punto più alto non sta nella prima, ma nella filosofia dell’essere e dell’actus essendi.» (L’alleanza socratico-mosaica. Postmetafisica, deellenizzazione, terza navigazione)

 

In realtà, pur inserendosi nel solco della grande filosofia epistemica e valorizzandone i vertici, Possenti intende presentare la propria proposta anche – se non soprattutto – come una critica delle correnti che l’hanno attraversata, ultimi atti a suo dire del moribondo pensiero moderno. L’anno scorso ha dato alle stampe per Armando Ritorno all’essere. Addio alla metafisica moderna, terzo volume di una trilogia che vede come suoi primi due episodi Nichilismo e metafisica. Terza navigazione (1995) e Il realismo e la fine della filosofia moderna (2016).

 

 

Quella di Possenti potrebbe definirsi un’alternativa realista alla metafisica neoidealista di Gentile, a quella neoclassica di Bontadini e a quella neoparmenidea di Severino. Si potrebbe dire, recuperando una diade antitetica su cui Carabellese fu tra i primi a portare l’attenzione: una filosofia dell’essere che s’oppone alla filosofia del conoscere, cui loro malgrado anche neoclassicismo e neoparmenidismo rimarrebbero ancorati.

 

Secondo Possenti, «è realistica ogni filosofia che considera l’essere/il reale la causa e il contenuto del conoscere», e che perciò vede l’ens, e non il verum, come l’assoluto “trascendentale primario”. Troverebbe in ciò una sua conferma speculativa anche il senso comune, che a suo modo “avverte” sia pure in maniera irriflessa l’«originario stare nell’essere». Il singolare rovesciamento ontologico operato dall’idealismo di matrice tedesca avrebbe invece messo capo a quella stortura, dai potenziali esiti nichilistici, che antepone l’oggetto mentale all’oggetto “reale”, il Sein come genere che si auto-specifica all’ens come trascendentale che “attraversa” i diversi enti concreti. Da questa indebita sostituzione di Hegel a Tommaso non è rimasto immune né, ovviamente, Gentile, né una certa neoscolastica, che finisce col pensare l’esse come «una mera determinazione dell’essenza» e non come actus essendi che attiva l’essenza stessa e “la fa essere”. Mi verrebbe da chiedere a Possenti se secondo lui, in tale allontanamento da Tommaso, prima ancora che lo zampino dell’idealismo, non ci sia quello di Francisco Suárez, a cui (come testimoniano ad esempio certi lavori di Angelo Gnemmi) la neoscolastica italiana è rimasta molto attaccata. Quanto all’attualismo, le cose sono più “immediate”, e se ne scorge con facilità l’economia all’interno della ricostruzione di Possenti:

 

«L’attualismo vale come un pensiero dell’illimite in cui ogni confine, barriera, punto stabile deve essere superato in un moto continuo di “rivoluzione permanente”. Esso si presenta pertanto come la filosofia di un divenire assolutizzato che spazza via ogni verità stabile; vi riesce però soltanto seguendo un cammino arbitrario, negando l’intelletto e attribuendo tutto al volere. In tal modo l’attualismo porta a conclusione il pensiero moderno, rappresentandone il punto di catastrofe.» (Ritorno all'essere, p. 48)

 

Giovanni Gentile, secondo Possenti, porta a definitiva catastrofe il pensiero moderno
Giovanni Gentile, secondo Possenti, porta a definitiva catastrofe il pensiero moderno

L’arbitrio illimitato, il trionfo della volontà di potenza e quindi il nichilismo sono l’effetto di un pensiero che non “poggia” più su niente se non su se stesso. In ciò ribadirei che la lettura possentiana dell’idealismo attuale come progressismo sfrenato è conforme tanto a quella di Carabellese, che condannava il nullismo dialettico di Gentile come un pensiero che sa soltanto auto-pensarsi e non pensa mai l’essere, quanto a quella del Severino de Gli abitatori del tempo e di Oltre il linguaggio. E invece no: secondo Possenti anche la pretesa filosofia dell’essere in cui consisterebbero ontologismo e neoparmenidismo cadrebbe vittima della trappola gnoseologistica, cioè della «generazione interna e apriorica dell’oggetto mentale». Per ragioni differenti. Il primo perché oblia la natura “adeguativa” e progressiva della conoscenza, sostenendo che nell’attingimento dell’essere come primum cognitum è attinto immediatamente anche l’Ente sommo, cioè Dio. Il secondo perché rimane dipendente da una visione idealistica per la quale il pensamento dell’incontraddittorietà (cioè il principio di non contraddizione) precede e anzi fonda l’ente stesso nelle sue caratteristiche. Per Possenti, al contrario, non è il gesto filosofante a “fondare”, son piuttosto le cose a “fondarsi” originariamente nell’essere. Alla filosofia spetta “solo” di prenderne atto e cimentarsi nell’analisi.

 

È pressoché impossibile riassumere nel giro di un articolo la densità di quest’ultimo sforzo di Possenti, che si misura con l’arduo compito di chiudere i conti con l’intera parabola della filosofia moderna. Vale però la pena soffermarsi almeno su quelli che a mio sommesso avviso ne costituiscono gli snodi salienti, diretta conseguenza di quanto appena detto. Segnatamente:

 

1) Il salvataggio della intuizione intellettuale dell’essere (iie): «l’umile e fondamentale intuizione umana dell’esistere come tale». Secondo Possenti, l’iie sarebbe divenuta ormai oggetto di una censura all’interno dei consorzi filosofici attuali. Onnipresente nella storia della filosofia, da Platone a Maritain passando per Agostino, essa sarebbe oggi quasi unanimemente misconosciuta. Qui, a patire i colpi sferzati da Possenti è soprattutto Kant, colpevole di aver reso l’intuizione solo “sensibile”, facendo dell’oggetto un puro concetto dell’intelletto. Si tratta della “premessa maggiore dell’idealismo”.

 

2) La discussione del concetto di Nulla e dello statuto del non-ens. L’astratto logicismo severiniano reificherebbe un ens rationis, cioè il nulla, conferendo realtà a ciò che per definizione non ne ha. Pretendendo poi di opporvi l’essere come qualcosa che s’opponga a qualcos’altro.

 

3) Una lettura che oserei definire “neo-leibniziana” del divenire, per cui «il movimento non è il fluire stesso, ma è moto di cose o di oggetti; il concetto di divenire è un’astrazione, solo gli oggetti individuali divengono».

 

4) La critica al dialettismo (e alla filosofia della storia) di Hegel, Spaventa, Croce e Gentile, che mette in luce come attraverso questa discendenza si sia passati da un’idea del conoscere come concipere e percipere ad una del pensiero come produttività. Col chiudersi del ciclo moderno, perciò, bisognerà riconoscere che «La dialettica deve morire per far risorgere la metafisica», secondo una espressione che fu di Italo Mancini.

 

5) Una confutazione del principio logico su cui si fondano tanto la neoclassica di Bontadini quanto l’eternalismo di Severino. Il P.d.P. (“Principio di Parmenide”, così denominato ai tempi da Bontadini), per cui “l’essere è, e non può non essere”, sarebbe analitico solo nella prima parte, mentre nella seconda parte Possenti non riscontra l’esclusione di quella immediatezza fenomenologica dell’identificazione dell’essere al nulla ritenuta dai neoclassici attestata dall’esperienza del divenire, in quanto tale attestazione di fatto non si darebbe mai (il che in parte è in linea con quanto sostiene Severino). In questa sua argomentazione Possenti abbraccia una nota posizione di Carmelo Vigna, secondo cui «la contraddizione e il divenire di ‘qualcosa che è’ non possono essere considerati come due figure speculativamente equivalenti» (Sulla declinazione della modalità di trascendere il finito). Egli tiene inoltre a sottolineare come le sue diagnosi non siano indice di una ostilità nei confronti di Bontadini, con cui peraltro collaborò alla fine degli anni Settanta, o di Severino, il cui pensiero giudica "degno di ogni attenzione".

 

Costantino Esposito
Costantino Esposito

Richiamandosi ad alcuni studi documentali sul caso, Possenti osserva che l’Italia risulta essere il paese che più di tutti ha meditato il nichilismo e la sua portata: dal canto mio, credo che l’origine di tale nostra attitudine vada ricercata nelle analisi svolte da Leopardi sui costumi degli italiani. Ma è proprio per questo che il pensiero italiano è quello che più incessantemente ha cercato e cerca vie d’uscita dal nichilismo stesso; come testimonia una delle recenti Cronache dal nichilismo scritte da Costantino Esposito su “L’Osservatore Romano”, in cui si dice che «l’angoscia di questi giorni di pandemia sta portando a galla, in tutta evidenza, la trama nichilistica che segna da cima a fondo il nostro modo di concepire noi stessi e la realtà. Ma dall'altro lato sta mostrando di colpo, con altrettanta evidenza, che il nichilismo non è forse più all'altezza della crisi che stiamo vivendo nel nostro tempo».

 

La filosofia italiana, insomma, ha secondo Possenti da riprendere il cammino per oltrepassare il nichilismo. Su questo non si può che essere d’accordo. Che poi tale oltrepassamento debba avvenire in direzione di una filosofia dell’essere così come messa a punto da Possenti stesso, e ricavata a partire dall’anamnesi critica della postmodernità che lui propone, questo è ciò su cui i giovani filosofi italiani sono chiamati a riflettere. Da questo punto di vista, è indubbio che il suo libro ha l’indiscutibile merito di delineare un’agenda filosofica di prim'ordine, stabilendo i punti da discutere, gli autori da cui ripartire, i problemi da riaffrontare.

 

Francesco Hayez, "La meditazione" o "L'Italia del 1848"
Francesco Hayez, "La meditazione" o "L'Italia del 1848"

 

8 aprile 2020

 








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