Sulla necessità della metafisica

 

Ciò che di primo acchito par importante cercar di capire, e che si cercherà qui di capire, è se sia possibile prescindere completamente dalla metafisica, o, viceversa, se essa sia in qualche modo connaturale all’essere umano e ai suoi sforzi conoscitivi. 

 

di Fausto Trapletti

 

La ricerca filosofica si è da sempre declinata in diverse forme, che si possono osservare più o meno e variamente correlate fra loro a seconda dei momenti storici che si prendono in esame. Per molta parte della storia del pensiero, la metafisica, essa stessa eterogeneamente definita, occupava il cuore e il vertice della disciplina filosofica: ogni altra forma determinata di sapere filosofico si muoveva entro spazi specifici i cui presupposti trovavano discussione e fondamento esclusivamente nella metafisica, così che a questa si giungeva in conclusione del proprio percorso, per scoprirla quale prote philosophia, necessaria per l’esistenza del resto dell’universo filosofico, e quindi della filosofia stessa.

 

Oggigiorno, in maniera abbastanza evidente, essa sembra non ricoprire più questo ruolo, ma anzi sembra non ricoprire più nessun ruolo in generale, rimanendo quale reperto archeologico per gli storici, o tutt’al più quale dilettevole esercizio per qualche nostalgico, deriso dai più come esule d’altri tempi. Le cause sono ovviamente molteplici e non è d’interesse indagarle qui, ma è importante rilevare come si siano scagliati senza remore né pietà contro la metafisica entrambe le sponde del pensiero novecentesco e contemporaneo: la filosofia analitica e la filosofia continentale. La prima denunciandone la cavillosità e la reale vuotezza, mascherata per sembrare il compimento dei saperi; la seconda, principalmente con Heidegger e discepoli, per essere dimentica della Seinsfrage e della differenza ontologica, e dunque portatrice della riduzione dell’essere all’ente, con tutto ciò che questo comporta. In generale, quindi, la metafisica è stata, e in gran parte viene ancora, tacciata di esser il supremo male per la vera e proficua ricerca filosofica, e perciò messa al bando.

 

Ora, ciò che di primo acchito par importante cercar di capire, e che si cercherà qui di capire (pur rimanendo nelle limitate capacità e conoscenze dell’autore), è se sia possibile prescindere completamente dalla metafisica, o, viceversa, se essa sia in qualche modo connaturale all’essere umano e ai suoi sforzi conoscitivi. 

 

Potrebbe sembrare necessario, per muovere il primo passo, dover definire il termine “metafisica”, chiarire rigorosamente che cosa sia la metafisica. Ebbene, l’unica definizione che si può dare, a mio avviso, è che essa non è definibile. La definizione, la precisa risposta alla domanda “che cos’è?”, infatti, implica una certa staticità del definito, che ne permetta la completa circoscrizione, e al contempo comporta (ed in una certa misura è comportata da) un’identità rigida che persiste nel tempo. Dare una definizione alla metafisica, allora, significherebbe cristallizzarla in una forma specifica, laddove essa è essenzialmente dinamica, pluriforme, cangiante. Bisogna, quindi, accontentarsi, riguardo ad una sua possibile definizione, dell’ammissione della sua indefinibilità, favorendo un approccio performativo: è facendo metafisica che si apre lo spazio per la comprensione della sua natura, che rimane in ogni caso eccedente rispetto alla possibilità di una precisa definizione.

 

Questa sua peculiarità è estremamente rilevante: non è possibile porsi al di fuori della metafisica e parlare di essa. Non avendo, infatti, un’essenza chiaramente identificabile ed immobile, ossia non essendo circoscrivibile ed in sé conchiusa, e rimanendo perciò comprensibile nella sua essenza esclusivamente nell’atto che la rende reale, sfugge al discorso che la oggettivizza pretendendo di parlarne rimanendone completamente avulso. Conseguentemente, qualsiasi critica alla metafisica è giocoforza appartenga essa stessa alla metafisica, e non ad una tipologia di discorso differente: così il pensiero novecentesco e contemporaneo, per quanto cerchino di sfuggire alle sue maglie, sentendo l’impellente bisogno di metterla sotto accusa, ne vengono amorevolmente abbracciati. Tutte le critiche a lei mosse possono, e a mio avviso devono, essere lette come critiche ad una sua forma specifica, con la finalità di promuovere una nuova forma che la sostituisca, viziate però dalla velleità di essere altro rispetto alla metafisica stessa. Così, per quanto maltrattata, essa rimane presente anche al giorno d’oggi, ma sottotraccia ed incompresa. 

 

Giunti a questo punto, non si è ancora toccata la questione principale, che voleva essere qui trattata, ovvero se sia possibile per l’essere umano esistere prescindendo completamente dalla metafisica. Avendo mostrato, infatti, che persino ogni forma di critica è già di per sé metafisica, non si ha in alcun modo mostrato che non ne si possa prescindere assolutamente. La via per allontanarla da sé potrebbe essere quella dell’indifferenza: ignorando per principio i problemi che la caratterizzano, e non cercando di demolirla, la si condannerebbe alla fatiscenza e, lentamente, all’oblio.

 

La domanda che ci si può porre, allora, è: è possibile ignorare la problematica metafisica in generale? La risposta, a mio avviso, è sì. Rispondere sì a tale domanda significa ammettere la non necessità della metafisica come disciplina esplicitamente considerata ed approfondita, e perciò considerarla come non essenzialmente costituente alcuna forma di sapere, che, infatti, le sopravviverebbero. Ciò che non significa è presumere che la problematica metafisica in sé, se ignorata, si dissolva: questa sì è essenzialmente costituente il reale e il sapere che lo indaga, ma non per questo è necessario che venga considerata come tale. 

 

Di fatto, l’essere umano può condurre tranquillamente (o per meglio dire, indifferentemente) la propria esistenza senza che la problematica metafisica lo tocchi in quanto problematica. E questa possibilità sussiste non solo per il singolo individuo, ma per l’essere umano in quanto genere: la metafisica non è in alcun modo coessenziale alla specie umana. Un’umanità metafisicamente agnostica si muoverebbe a-problematicamente ed in modo meno consapevole nel mondo ed in sé stessa, ma la non consapevolezza non pregiudica di per sé il movimento. Un’umanità assolutamente metafisicamente agnostica forse non è mai empiricamente esistita, ma questa contingenza storica non preclude la possibilità logica della sua esistenza. Non vi è, a mio avviso, alcuna contraddizione nel pensare un’umanità che non si lasci toccare e sedurre dall’emergere di problemi metafisici, e che semplicemente li ignori non riconoscendoli neanche come tali. 

 

Ciò che credo essere connaturale all’essere umano, appurato che non sia la metafisica, è la sua possibilità: non è possibile che la metafisica sia di per sé necessaria, ma è necessario che sia possibile. L’essere umano, allora, può in ogni istante riconoscere la problematica metafisica in quanto tale, e considerarla in quanto tale, dando così i natali alla metafisica in sé e per sé, ma non vi è in questo alcuna costrizione naturale. In altre parole, la metafisica non sorge come risposta ad un bisogno, per quanto intimo, come risultato di una tendenza inscritta nell’essenza dell’essere umano (nel qual caso sarebbe necessaria), bensì da un libero atto di riconoscimento e considerazione. 

 

19 gennaio 2022

 








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