L'esperienza religiosa nell'epoca del nichilismo

 

Cosa rimane dell’esperienza religiosa nell’epoca del nichilismo? Qualcuno dirà niente e qualcun altro tutto. Tuttavia, a prescindere dalle nostre personali risposte, è un fatto che il nichilismo abbia gettato uno scossone alla coscienza religiosa, soprattutto occidentale, del XX e del XXI secolo. 

La religione, nell’epoca nichilista, è ancora viva, così come la ricerca di senso. Nonostante ciò, viviamo in un mondo privo di certezze e l’angoscioso orizzonte del nulla si staglia possente e minaccioso davanti ai nostri occhi, con la sua ambiguità e il suo terrificante silenzio, il suo non dire assolutamente nulla, davanti agli interrogativi degli uomini contemporanei. 

Nel seguente articolo prenderemo in considerazione la questione dell’esperienza religiosa e di Dio in questa incerta epoca del nichilismo, cercheremo di capire se e come sia possibile vivere la religiosità nell’epoca del crollo delle certezze.

 

di Riccardo Sasso

 

 

Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, all’inizio del suo Così parlò Zarathustra, racconta dell’incontro di Zarathustra con un sant’uomo nel bosco con una profonda fede in Dio. Zarathustra rivolse a quest’ultimo la seguente domanda: «E che fa il sant’uomo nel bosco?», la risposta fu la seguente: «Compongo canzoni e le canto e quando compongo canto, piango e borbotto; cioè lodo Dio. Cantando, piangendo, ridendo e banchettando lodo quel Dio che è il mio Dio. E tu che ci porti in dono?». Dopo essersi congedato sbrigativamente, Zarathustra riprese il suo cammino e, mentre camminava, pensava: «Non è possibile! Questo vecchio sant’uomo nel suo bosco non ha ancora sentito dire che Dio è morto!». L’episodio è molto significativo, il sant’uomo vive l’esperienza religiosa e Zarathustra annuncia il Superuomo nell’epoca del nichilismo. All’inizio della sua opera, Nietzsche fa incontrare il nichilismo e l’esperienza religiosa, tentando di farli dialogare, ma giungendo a un nulla di fatto. 

 

Zarathustra si domanda come il sant’uomo non sia a conoscenza dell’avvento del nichilismo e si domanda: come può quest’uomo vivere l’esperienza religiosa e non sapere dell’avvento del nichilismo? Io ora vorrei sollevare un altro problema: ma se il sant’uomo, invece, fosse stato a conoscenza dell’avvento del nichilismo? Se è vero quel che dice Zarathustra, e cioè, che il nichilismo dovrebbe essere qualcosa di scontato ("non è possibile!", "non ha ancora saputo"), non bisognerebbe forse ipotizzare che il sant’uomo sapesse perfettamente dell’avvento del nichilismo? Forse lo Zarathustra di Nietzsche, ignorava che un sant’uomo con una profonda fede in Dio avesse potuto sapere che siamo nel tempo del nichilismo. Forse quel sant’uomo era consapevole dell’avvento del nichilismo tanto quanto l’uomo folle dell’aforisma 125 de La gaia scienza

 

Ma allora, posto che il sant’uomo sapesse dell’avvento del nichilismo, bisogna concludere che, anche nel tempo della mancanza di senso, dell’assenza della risposta al perché e della svalutazione di tutti i valori, l’esperienza religiosa sia ancora possibile? Questa era la domanda che si pose il teologo, filosofo e sacerdote cattolico Bernard Welte nel suo testo La luce del nulla-sulla possibilità di una nuova esperienza religiosa: «È possibile che [dietro al nulla] alla fine vi si celi addirittura qualcosa di divino che forse si annuncia nelle dimensioni di infinitudine e di incondizionatezza, delle quali abbiamo parlato? Oppure solamente di un nulla vuoto che non nasconde assolutamente nulla?» Welte, così come chi scrive, optava per la prima opzione e rispondeva in questo modo: 

 

« Certo, i fenomeni temporali dell’amore e della fedeltà, della disponibilità ad aiutare e dell’impegno per la giustizia, pronto alla giustizia, sono fugaci e passeggeri. Ma in questa loro fugacità splende qualcosa di indimenticabile e quindi anche di eterno, cioè qualcosa che si oppone ad ogni dimenticanza e ad ogni caducità […]. Questa esperienza costituisce allora veramente una contro istanza che si oppone all’interpretazione negativa dell’importante esperienza del nulla. »

 

Ora, è giunto il momento di andare ad approfondire questa esperienza del nulla e della possibilità dell’esperienza religiosa nell’epoca del nichilismo. Che cosa voglia dire “fare esperienza del nulla” è qualcosa che sappiamo tutti perfettamente, non appena avrò chiarito il significato, difficilmente qualcuno non riuscirà a rivedersi in un qualche momento della sua vita. È molto bizzarro pensare a come, seguendo Parmenide, il nulla sia quel qualcosa che non è possibile neanche nominare, perché non è, eppure, pur non essendo, nessuno di noi è esente dall’esperirlo e dal provare la vertigine sopra l’abisso dell’ambiguità e del silenzio. 

 

L’esperienza del nulla è costantemente presente nella vita dell’uomo contemporaneo, chi la nega, semplicemente, mente. I giovani fanno esperienza del nulla: il futuro è incerto, non ci sono prospettive definite, il mondo lasciato dalle precedenti generazioni è a loro ostile. Gli adulti fanno esperienza del nulla: lavorare, fare soldi, fatturare, produrre, consumare. Ma qual è lo scopo ultimo di tutto questo? Qual è la ragione per cui ci si alza la mattina? Sono queste le modalità con cui si esperisce il nulla nell’epoca del nichilismo. Manca l’orizzonte e la risposta al “perché”. Tutto questo porta allo smarrimento, all’ambiguità, al silenzio e all’assenza di risposte. Nulla, quella “cosa”, se così si può definire, che non può nemmeno essere nominata si staglia davanti a noi con il suo silenzio. Questa vertigine che proviamo è il modo con cui il nulla si rende manifesto. La droga, il denaro, la stabilità, la soppressione del pensiero sono le modalità con cui molti cercano di non guardare in faccia il nulla all’orizzonte e non ascoltare il suo assordante silenzio. Si ripresentano le domande poste nell’aforisma 125 dove l’uomo folle di Nietzsche annunciò la morte di Dio, e cioè, l’avvento del nichilismo: 

 

« Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? »

 

Questa è una rappresentazione letteraria del nostro angoscioso vagare nel nulla, questa è la situazione che esperiamo su di noi. Ma, in fin dei conti, di che cosa stiamo parlando? Di nulla? E che mai dovrebbe essere il nulla? Parmenide proibiva il pensarlo e il nominarlo, eppure, non disse niente sull’esperirlo. Quindi, che cosa mai esperiamo quando esperiamo il nulla?

 

F. Nietzsche
F. Nietzsche

 

Quell’x di cui facciamo esperienza e che chiamiamo nulla è terrificante. Come scrive Welte: «Chi fa esperienza del nulla fa veramente un’esperienza, cioè incontra qualche cosa che lo colpisce, lo sconvolge e lo trasforma. Ed è appunto per questa ragione che gli uomini cercano di sottrarsi a tale esperienza». Ma per capire che cosa questo x di cui facciamo esperienza e che chiamiamo nulla, bisogna, per comodità dialettica, individuare la sua caratteristica principale. Se è vero che, del nulla, nulla si riesce a dire; che di esso non possiamo dare descrizioni, chiediamoci: qual è la caratteristica del nulla che riconosciamo quando lo esperiamo? Welte sostiene che si tratti dell’equivocità. Il nulla è equivoco e ambiguo, il sacerdote tedesco afferma: «Se supponiamo questo nulla, ci accorgiamo ben presto che esso ha un tratto di infinitudine. Esso è qualcosa come un abisso infinito». Quando esperiamo il nulla, esperiamo qualcosa di analogo allo stare al margine di un abisso, senza luce e senza fine. Come stare in mezzo al mare, di notte, con una barca: l’acqua è scura e il mare profondo, non c’è la luna e tutto è silenzioso. Ciò che esperiamo è equivoco, nel senso che, manca la chiarezza e la distinzione del razionalismo cartesiano, che ci permettono di avere una solida certezza e comprensione della situazione. Sostiene Welte: «Il nulla non finisce mai. Esso rifiuta ogni limite, ogni limitazione e ogni determinazione. Così, la negatività risulta essere in ogni senso senza fine e quindi in-finita»

 

Il nulla è quindi inesprimibile, incondizionato, infinito, il solo nominarlo ci potrebbe condurre in errore, l’unico modo di relazionarvici senza diminuirlo è l’esperirlo direttamente. Ma, giunti a questo punto, sembra fare capolinea qualcosa, infatti, come scrive Welte: «Là dove un tempo c’era Dio, sta e sta nel nostro tempo il nulla», eppure, continua: «In questo contesto sorprende pure il fatto che con simili espressioni negative per definire l’infinitudine e l’incondizionatezza vengano definiti nei tratti o delle dimensioni che nel linguaggio religioso attribuiamo di solito a Dio». Diceva Wittgenstein: «Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere» [L. Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus e quaderni 1914-1916]; oltre i confini del linguaggio si dispiega l’orizzonte di qualcosa di nuovo, d’inesprimibile e d’incondizionato. Sembra quasi che, nell’epoca del nichilismo, il trono che un tempo spettava a Dio ora appartenga a una x che siamo soliti chiamare nulla. Welte afferma: «Dove Dio è scomparso, là appare il nulla»

 

Se le cose stanno come le abbiamo descritte sopra, siamo di fronte alla totale equivocità, silenzio e mancanza di risposta. In una situazione analoga a questa, dove tutte le certezze e le risposte hanno lasciato spazio al silenzio e Dio sembra aver lasciato il posto al nulla: c’è ancora la possibilità di un’esperienza religiosa? Questa è l’equivocità davanti alla quale ci troviamo e da cui è indispensabile incominciare. Welte afferma che, se il nulla rimane in silenzio, dobbiamo allora interrogare la nostra esistenza, la quale, è solita mettersi alla ricerca della verità e dire: «ogni cosa dovrebbe avere un senso». Ma, nell’epoca del nichilismo, che è assenza di senso, come possiamo noi pretendere un senso delle cose? La risposta è da ricercarsi nell’etica, nel richiamo alla responsabilità. Come ci dice Welte: «Ciò diventa evidente [la presenza del senso] specialmente nel nesso della vita in comune, ad es. nell’amore verso il prossimo, nella fedeltà e nella disponibilità verso gli altri, nell’impegno per assicurare la giustizia e la libertà ai nostri simili ecc.» e ancora: «Perché in simili casi sperimentiamo che il bene ha un senso. Sperimentiamo che il bene ha un senso, particolarmente nella sua opposizione al male». Proprio nell’etica e nella responsabilità fa capolino la possibilità dell’esperienza religiosa nel nichilismo. L’etica, infatti, è opposta all’interpretazione negativa del nulla. Dice Welte, che questo impegno per amore, fedeltà, giustizia ecc. s’impone come eterno. Di conseguenza, l’interpretazione negativa del nulla si fa da parte e compare la possibilità del religioso: «È questa quindi la contro-istanza decisiva la quale si oppone all’interpretazione negativa del nulla che incontriamo e che ci vuole coinvolgere». Tutti avvertiamo, nella nostra coscienza, la sensatezza e l’importanza del bene e sentiamo che esso è inesauribile e che non possiamo rinunciarvi. Ma com’è possibile che ciò avvenga? Come ricompare Dio dietro all’abisso del nulla? 

 

B. Welte
B. Welte

 

Il mistico Meister Eckhart fornisce alcuni spunti per ripensare Dio davanti alla prospettiva del nulla: «Dio è un nulla» e «Non v’è notte che non abbia una qualche luce, ma è nascosta. Il sole splende nella notte, ma è nascosto» (M. Eckhart, Sermoni tedeschi). Sono affermazioni alquanto criptiche ed “epifaniche”, o meglio, “teofaniche”. Sembrano appositamente scritte per l’epoca del nichilismo, non si nasconde forse qualcosa dietro la notte del nulla che ci si staglia davanti? Non si nasconde qualcosa di divino dietro a questo nulla? Abbiamo già detto che nell’etica si manifesta un barlume dell’eterno, anche nell’epoca del nichilismo, e questo ci porta fuori dall’interpretazione negativa del nulla; perché la fedeltà, la giustizia, il bene, l’amore non scompaiono ma permangono, si contrappongono alla negatività. C’è quindi la possibilità di scorgere le tracce di Dio dietro al nulla. Welte cita un verso di Eliot, nel quale, il poeta “canta” il manifestarsi di Dio dietro al nulla: «Dissi alla mia anima: sta’ tranquilla – lascia che il buio venga su di te. Sarà l’oscurità di Dio». Ci si dispiega dunque l’orizzonte di una teologia negativa, che attraverso lo svuotamento da tutti i concetti limitati della nostra mente; si lascia penetrare dall’Inaccessibile e dall’incondizionato, il mistero attraverso il quale è possibile scorgere la luce di Dio. 

 

L’abissalità è però qualcosa d’inesprimibile e, per questa ragione, abbiamo bisogno delle testimonianze e dei profeti. Qui rientra preponderante il ruolo delle religioni, le quali, sono modalità dell’esperire Dio. Come afferma Welte: «le esperienze di Dio nell’abisso silenzio del nulla hanno bisogno della nostra storia concreta di un rappresentante e testimone concreto a cui appoggiarci di fronte all’abisso». Questi sono indispensabili, in quanto, l’epifania di Dio dietro al nulla non è qualcosa di dimostrabile a partire dalla semplice ragione. Lo stesso Welte lo ammette:

 

« Essa (l’esperienza religiosa) è senza dubbio possibile in ogni momento; ma non è in nessun caso necessaria. Per di più, non può essere prodotta mediante metodi razionale-finalistici. È possibile chiamarla [...]. Si possono citare dei testimoni a suo favore. Ma i testimoni non obbligano, essi richiamano soltanto la nostra attenzione. »

 

Serve, quindi, un atto di coraggio del pensiero. Uno slancio fiducioso verso un orizzonte di senso più ampio, un orizzonte di senso che siamo soliti chiamare Dio. Quest’atteggiamento è, per l’appunto, l’atto di fede o l’adesione del pensiero e della ragione, come si preferisce chiamarlo. 

 

La religione, con i suoi testimoni, ci dà una via d’accesso e un esempio può essere quello di Gesù, che ci porta quella che è la testimonianza per eccellenza, e cioè, quella del regno di Dio. Il cristianesimo stesso si pone come testimonianza e annuncio (Kerygma). 

 

Non vanno escluse, però, anche le altre tradizioni e testimonianze religiose non cristiane: dalle altre religioni abramitiche, alla vasta e prolifica tradizione spirituale, o meglio tradizioni spirituali, dell’Oriente. Ci si deve comunque guardare dal ritenere tutte le religioni come equivalenti, pena il cadere dall’ecumenismo al sincretismo, come afferma anche Welte: «Essere cristiano o ebreo o musulmano o brahmano o buddhista non è la stessa cosa. Sarebbe sciocco voler affermare una cosa del genere». Tuttavia, proprio in queste differenze, si presenta la necessità del dialogo e della condivisione delle varie esperienze di Dio, vista l’unicità del mistero che si cela dietro le varie religioni. Ancora una volta, Welte ci da una dritta in questo senso: «E mi sembra che per un tale dialogo sia estremamente importante il fatto che la storia ci ha condotto a esperienze fondamentali che in larga misura sono analoghe e che nelle forme concrete di molte religioni si trovino delle concrete analogie strutturali»

 

In quest’epoca del nichilismo e dell’abisso, si presenta, quindi, la possibilità di una concreta esperienza religiosa e di un autentico ecumenismo. Come gli apostoli nella tempesta che chiedono a Gesù: «Maestro non t’importa che moriamo?» e, dopo essere stati esauditi nella richiesta di essere salvati, ebbero come risposta: «Perché siete paurosi? Non avete ancora fede?» [Mc. 4, 35-41], noi possiamo ancora rivolgere il nostro sguardo verso il cielo, e quindi, verso Dio

 

7 giugno 2023

 









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