Lenin era un pazzo?

 

Rivoluzione: dal latino revolutio ovvero rivolgimento, ritorno. In ambito astronomico si intende un giro completo di un corpo attorno a un centro di massa. Un esempio è il moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole dove un giro completo è l'anno solare, i 365 giorni. Quindi la rivoluzione non è caos ma il chiudersi di una fase e l'inizio di un’altra. Si parte dal punto A e si ritorna, alla fine, nuovamente al punto A. Questo accade anche con gli uomini e con i loro sistemi. Si toglie un re e si mette un altro re, si toglie un sistema di governo e se ne piazza un altro. Il vuoto si riempie sempre, si stravolge il tutto per ritornare al tutto. 

 

 

Rivoluzione russa, anno 1917. L'Impero Russo è un gigante di cartapesta pronto a prendere fuoco. Già nel 1905 nel Paese divampa un incendio di rivolte con la sconfitta zarista nella disastrosa guerra russo-giapponese. Lo Zar Nicola II è costretto a concedere qualche iniziale riforma ma il suo tempo era giunto alla fine. L'entrata nel conflitto della Russia nella Grande Guerra trasforma in possibile l'impossibile. La guerra è un disastro e porta solo morte sia sui campi di battaglia, sia per fame. Le industrie di Pietrogrado scioperano, le piazze si riempiono, i soldati disertano. L'impero crolla e nasce il governo provvisorio di Kerenskij che vuole continuare la guerra. A sua volta Kerenskij sarà poi scalzato dal colpo di stato dei bolscevichi con la cosiddetta rivoluzione di Ottobre.

 

Fatta la premessa storica si può affermare che Lenin, guida della rivoluzione bolscevica, non era un pazzo. Era machiavellico, era figlio del suo tempo: l'età degli eroi nietzschiani, dove non c'è posto per la morale spicciola, dove bisogna fare i conti con la brutale realtà umana, dove vince colui che osa sfidare il precostituito. Come scrive Nietzsche attraverso il Zarathustra:

 

« Voi dovete cercare il vostro nemico, combattere la vostra guerra, e ciò per le vostre idee! E se la vostra idea soccombe, che la vostra rettitudine gridi al trionfo! »

 

Il padre dell'Urss conosceva il Paese dove viveva. L'impero Russo non era una Nazione abitata solo da russi ma un Impero multietnico. Differenti fusi orari, differenti lingue (molte delle quali non imparentate tra loro e non appartenenti al ceppo indoeuropeo), differenti religioni, differenti usi e costumi. Enormi differenze dalle campagne alle città, enormi masse di analfabeti, sviluppo industriale quasi inesistente tranne per Mosca e San Pietroburgo (dove erano nati i primi Soviet). Un Paese che non era industrializzato come la Germania o il Regno Unito ma aveva incominciato il proprio sviluppo industriale effettivo da appena un decennio. Un Paese dove la servitù della gleba era stata abolita nel 1861. 

 

Premesse disastrose rispetto a una società pienamente industriale dove secondo Marx poteva svilupparsi una coscienza di classe e dove un forte peso operaio spontaneamente poteva abbattere i governi liberali.

 

Lenin non crede a una coscienza di classe spontanea come scrive nel saggio Che Fare: Problemi scottanti del nostro movimento. Lenin crede nel rivoluzionario di professione, le idee vanno difese, vanno diffuse e bisogna avere gli strumenti per farlo. Senza l'intellighenzia, senza il partito degli intellettuali, per Lenin si sarebbe arrivati solo a strutture sindacali basilari, coscienza sindacale non piena coscienza di classe. L'obiettivo non sono le Trade Union o le società di Mutuo soccorso ma la rivoluzione socialista scientifica. 

 

Realpolitik. Il concetto di intellettuali di professione non è lontano dalla egemonia culturale gramsciana. Le idee si fanno azione, la massa, la folla è grande ma caotica, irrazionale, forte in quanto numerosa ma debole sul lungo periodo, per avere valore deve essere guidata verso obiettivi precisi. Il partito invece è il gruppo compatto, razionale, piccolo ma motivato, combattente fino alla morte. Quale coscienza di classe proletaria in Russia dove nel 1917 solo il 25% della popolazione sapeva leggere e scrivere, dove l'88% della popolazione era formata da contadini nelle campagne e dove la struttura sociale era rigida divisa in clero, nobiltà e popolo? 

 

 

Il popolo è in grado di rivoltarsi, ma la rivolta non è rivoluzione. Basti vedere le tante rivolte dei contadini nel Medioevo, tutte sembrano portare a un cambiamento ma alla fine finiscono nel sangue della repressione. Il potere assorbe l'urto, conserva gelosamente il comando culturale e militare e quando la rabbia delle masse si è affievolita, schiacciano e ributtano verso il basso chi ha alzato la testa. Non basta prendere il potere ma bisogna avere gli strumenti per conservarlo. C'è bisogno delle idee, di una narrazione collettiva, di una battaglia in cui credere, che compatta il fronte interno affinché esso non si sciolga come neve al sole sotto i colpi di chi si trova dall'altra parte della barricata. 

 

La storia non è molto diversa dalla Rivoluzione cubana dove un manipolo di uomini motivati abbatte un regime sostenuto da una superpotenza. Uguale meccanismo per la Rivoluzione francese. Un substrato di proteste popolari ma l’azione decisiva che ha portato l'eliminazione della monarchia è stata di piccoli gruppi politici, quali i giacobini, pervasi da idee e obiettivi politici precisi. E si potrebbe continuare con tanti altri esempi di rivoluzioni o movimenti di resistenza vincenti. Davide può lottare contro Golia. Golia è la forza bruta ma Davide ha dalla sua l'astuzia, intelligenza che piega a suo favore e vince.

 

Lenin non credeva nella democrazia liberale come spiega nel saggio Stato e Rivoluzione. L'accusa di aver tramutato il comunismo in una sorta di Leviatano di Hobbes o di Stato Etico di Hegel non tiene conto dei problemi reali che la rivoluzione doveva affrontare. La resistenza zarista, l'opposizione dei governi liberali, gli embarghi, il non riconoscimento internazionale, l'arrivo di truppe estere, le rivolte interne, la precarietà dell'economia dopo la Prima guerra mondiale. Non c'erano solo le armate rosse comuniste e le bianche zariste ma anche le armate nere anarchiche, le verdi indipendentiste, le truppe tedesche presenti nel Baltico, la coalizione di Francia, Stati Uniti e UK che inviava dei contingenti e che occupavano i porti russi. Identica cosa delle coalizioni antifrancesi capeggiate da Austria, Prussia, Russia e UK a fine Settecento e inizio Ottocento. Senza la tenacia dei repubblicani parigini le idee della Rivoluzione francese non si sarebbero diffuse in tutta Europa e l'Ancien Regime non sarebbe stato cancellato. 

 

 

Combattere o soccombere, non era tempo per la pace, per la democrazia e l’inclusione. Senza l'armata Rossa, senza la creazione della Ceka, la rivoluzione sarebbe stata soppressa e si sarebbe ritornati alla situazione zarista. Lenin diffidava dagli utopisti perché come molti rivoluzionari prima di lui sapeva che le rivoluzioni sono lacrime e sangue. Rivoluzioni pacifiche non esistono, anche il movimento pacifista di Gandhi si è concluso alla fine con la divisione dell'India, la guerra tra indù e mussulmani e la morte di milioni di persone.

 

Idee e armi. Senza questi due elementi non ci sarebbe stata né rivoluzione americana, né francese né russa.

Altra critica fatta a Lenin è il non aver eliminato lo Stato come scritto da Marx come forma ultima della rivoluzione comunista. Nella forma finale del marxismo vi è l'eliminazione dello Stato ma Lenin non ha in mano un paese industrializzato ma un paese di contadini affamato dalla guerra senza struttura industriale occidentale. Lenin ha bisogno dello Stato contro i nemici della rivoluzione, ha bisogno dello Stato per modernizzazione il paese. Lenin scrive:

 

« Lo Stato potrà estinguersi completamente quando la società avrà realizzato il principio: "Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni", cioè quando gli uomini si saranno talmente abituati a osservare le regole fondamentali della convivenza sociale e il lavoro sarà diventato talmente produttivo ch'essi lavoreranno volontariamente secondo le loro capacità. » 

 

Eliminazione dello Stato a priori poteva avvenire con la diffusione del pensiero comunista negli altri stati europei, con la formazione di una utopica Internazionale socialista diffusa ma la sconfitta nella guerra Russo Polacca del 1921, i freikorps in Germania con la conseguente morte del movimento spartachista, la dissoluzione del biennio rosso in Italia mettono fine al pericolo socialista in Europa.

 

Rosa Luxembourg era una comunista dai profondi ideali, ma la libertà delle sue tesi senza le armi non potevano nulla contro gli ex combattenti assoldati dal governo di Berlino per reprimere la rivolta. Si ritorna al concetto iniziale idee e armi. Le rivoluzioni europee di successo sono state quelle armate. l'Operaio combattente teorizzato da Ernst Junger ha vinto, la milizia di popolo di Machiavelli ha avuto ragione, il soviet dei soldati e degli operai ha preso il potere in Russia. 

 

Per concludere Lenin nel 1916 scrive chiaramente: 

 

« Colui che attende una rivoluzione sociale «pura», non la vedrà mai. Egli è un rivoluzionario a parole che non capisce la vera rivoluzione. » 

 

 

Lenin era un pazzo?

 

30 maggio 2023

 









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