La riscoperta della politica

 

Ma se mettessimo husserlianamente tra parentesi l’attuale discussione politica, per tornare all’essenza della politica stessa, alla sua origine nell’insicurezza che oggi cerca conforto nell’opinione difesa a spada tratta? Forse questa epochè sarebbe utile a superare la sterilità dell’attuale dibattito e riacquistare una consapevolezza del fine (legato a quella origine precedente) che vogliamo raggiungere. 

 

di Michele Ragno

 

Renato Guttuso, "Case di Palermo" (1976)
Renato Guttuso, "Case di Palermo" (1976)

 

Si sa, viviamo in un’era di specializzazione tecnica che investe anche il sapere: vi è una sconfinatezza informativa tale che ogni individuo dedito alla conoscenza finisce per dedicarsi ad un preciso ambito tecnico, ignorando gli altri. Al di là delle ripercussioni teoretiche che, sia pur catastrofiche, non analizzerò in questo articolo (il discorso è lungo e complesso e merita di essere analizzato in separata sede), vi sono esiti sociali-politici devastanti, che non possono essere ignorati: la realtà politica, che è per sua stessa natura “affare” di ogni cittadino, perché riguarda la vita di ogni componente della società, diventa accessibile solo ai pochi esperti, giustificando un’élite (chiusa in se stessa) che ha in mano il potere decisionale. 

 

Questo sapere specialistico ha la tendenza all’autoreferenzialità, alla chiusura, e trova la sua concreta realizzazione nel mondo istituzionale-accademico. Ma a questo punto vale la pena chiederci perché conoscere? se la conoscenza ci fornisce ambiti tecnici spesso non coerenti con altri.

Verso cosa tendiamo nel conoscere?

 

Riportando il discorso alla sfera politica, resta il problema di tutti gli esclusi dall’élite. Per l’antropologo Gehlen le possibilità sono due: 1) rassegnarsi e ignorare le questioni politiche; 2) affidarsi a fonti “di seconda mano” (i mass media) che possano, attraverso la loro opinione, rassicurare la nostra angoscia politica.

 

Ci si affida, paradossalmente, all’informazione dei media per far valere inoppugnabilmente la propria opinione, senza risvegliare quella capacità critica di indagine dello sfondo che si nasconde dietro quell’informazione. La diffusione di internet e dei canali social ha ampliato la portata dei media a tal punto che oggi, avendo a che fare con una scarsa qualità di informazione, ognuno di noi si sente in dovere di pronunciare le proprie opinioni su una questione, spesso sconosciuta, senza la voglia di approfondire la vicenda, affidandosi ad un “istinto” del sentire (buon senso sarebbe un complimento che non voglio fare). Il processo è più o meno questo, schematizzando: aumenta il bisogno di informazioni mediate -> aumentano i canali di informazione -> maggiore competizione -> necessità immediata di notizie che creino scalpore -> scarsa qualità di informazione (al limite della fake news).

 

I mass media ci forniscono oggi grandi paroloni come spread o welfare e sigle con ogni possibile combinazione di lettere dell’alfabeto (che un apparato burocratico così complesso serva a rafforzare la conoscenza élitaria?). Ma se per un attimo si sospendesse tutto questo? Mettessimo husserlianamente tra parentesi l’attuale discussione politica, per tornare all’essenza della politica stessa, alla sua origine nell’insicurezza che oggi cerca conforto nell’opinione difesa a spada tratta? Forse questa epochè sarebbe utile a superare la sterilità dell’attuale dibattito e riacquistare una consapevolezza del fine (legato a quella origine precedente) che vogliamo raggiungere. In questo, i filosofi antichi (Platone, Aristotele) sono “sul pezzo” più di noi. Hanno uno sguardo più acuto, ampio e concentrato del nostro. Non perdono di vista l’origine e il fine della politica. Noi dobbiamo fare qualcosa di simile. Serve un atteggiamento nuovo verso la politica. D’altronde gran parte dei problemi attuali non deriva da una certa a-moralità dello Stato? Non è forse oggi lo stato qualcosa di più simile ad una società quotata in borsa, che ad una organizzazione comune che aspiri alla giustizia, alla felicità dei suoi cittadini? Questa affermazione può oggi sembrare assolutamente ridicola, proprio perché abbiamo smarrito il punto della questione.

 

 

Come può uno Stato non mirare al benessere collettivo (non solo materialistico, sia chiaro!)? E quindi qual è l’orizzonte di riferimento per lo Stato attuale? Se uno Stato è autenticamente morale, non può che avere come orizzonte ogni individuo, ogni essere umano, senza smarrire un «intero» (la società in toto). A partire da questo è già evidente come il razzismo, il nazionalismo pongano barriere inutili, dissidi futili, ingiusti. Ma facciamo un minimo sforzo, immaginiamo uno Stato a-morale (in realtà basterebbe aprire gli occhi). Uno Stato non obbligato a far nulla: uno Stato simile sarebbe libero di fare l’opposto rispetto alla ragione della sua origine: garantire la sicurezza, intesa come giustizia. Questa è la riflessione ancora attuale di Spinoza, che dobbiamo ancora fare nostra. Una tale chiarificazione dell’origine e dell’orizzonte della politica ci permette di affrontare ogni dibattito attuale con un occhio diverso: sono necessari sì nuovi equilibri geo-politici, ma nulla può giustificare l’abbandono di nostri con-cittadini sulla soglia della morte. Coloro che pretendono un “realismo” politico sono semplicemente pigri, incapaci nella volontà di cambiare le cose. Anything goes. Sì, ma solo se siamo noi a permetterlo.

 

4 agosto 2018

 




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