Franz Kafka, Il castello: l'alienazione dell'uomo (II)

 

È questa la follia in cui K. s’immedesima: è costretto ad affrontare la realtà rivalutandola ogni volta, finendo per non prendere più posizione su ciò che accade, in quanto sarebbe un’operazione vana e contraddittoria nel suo porsi.

 

 

Qui si può leggere la prima parte

 

È molto facile entrare nell’orbita del villaggio: all’inizio ci sei te, che pensi di essere solo, che cerchi di far valere la tua volontà e, spinto dalla voglia di far bene, sminuisci tutti gli ostacoli esterni. Dopo il momento iniziale capisci che quegli impedimenti che prima vedevi come esterni e irrisori ti condizionano pesantemente, non ti fanno esprimere al meglio; sei costretto a essere fiancheggiato da forze che sembrano immodificabili, perché provenienti dall’autorità. Così cerchi di chiedere aiuto a qualcuno, ma la risposta che ti verrà data sarà talmente facile, quanto remota ed invisibile, che ti ritroverai con in mano una manciata di polvere, che osserverai e soffierai via.

 

« Il rapporto diretto con le autorità non era troppo difficile, perché le autorità, per quanto ben organizzate potessero essere, dovevano soltanto difendere in nome di un signore remoto e invisibile cose remote ed invisibili, mentre K. lottava per quanto vi era di più vitalmente prossimo, per se stesso, e inoltre, nei primissimi tempi, di propria volontà. » 

 

C’è una tale dedizione nel rispettare il proprio ruolo, che non sono assolutamente necessarie autorità di controllo: K. non ha mai visto un tale intreccio tra vita personale e servizio. Le autorità sono tali solo in quanto hanno un potere decisionale più elevato, non perché effettivamente sfruttino tale potere per sottomettere i popolani: si apprestano anche loro ad adempiere al proprio ruolo. Il sistema si regge da solo, per questo è impossibile per K. accedere alla propria nomina: fin tanto che qualcuno non ammetterà di aver sbagliato, l’errore è semplicemente impossibile da concepirsi per gli abitanti del villaggio. Ecco che ai loro occhi K. è visto come un virus, un’anomalia, una falla del sistema, qualcuno di totalmente estraneo che entra a far parte dell’ordine precostituito e che per questo crea scombussolamento. K. che all’inizio sembra essere una sorta di Joker che entra nel villaggio, si ritrova poi però a far parte anche lui della partita e dover calare le proprie carte. 

 

Dopo aver trovato una sistemazione come bidello della scuola, K. inizia a vedere le cose in modo diverso: la realtà sembra un po’ più pacifica e anche il castello muta le sue sembianze. Con il sempre maggior immedesimarsi nella vita del villaggio, K. scorge sempre di meno il castello, a tal punto che, quanto più osserva, tanto meno distingue, tanto più profondamente tutto annega nella penombra. La sua lotta per la posizione di agrimensore si fa sempre meno convincente. Cerca di ottenere un colloquio con Klamm, ma questo gli è negato. Il massimo a cui può aspirare è parlare con il suo segretario, il quale a sua discrezione decide cosa riferire a Klamm. L’unico legame che K. potrebbe avere con Klamm passa quindi dal verbale redatto dal segretario. Ad un certo punto, per via del messaggero Barnabas, arriva una lettera per K. da parte del castello, nella quale c’è scritto di continuare così e che stava andando bene nel ruolo di agrimensore. Ecco la conferma dell’inserimento a far parte del villaggio: l’ufficialità proveniente da una lettera del castello, l’approvazione che K. è nella giusta via e sta rispettando il suo incarico. Sembra che anche lui ora, con questa nota ufficiale, sia parte del piano, sia un effettivo membro della comunità.

 

John Atkinson Grimshaw, "Un vicolo di Headingley, Leeds" (1871)
John Atkinson Grimshaw, "Un vicolo di Headingley, Leeds" (1871)

 

La comunità, dove lui è necessariamente costretto ad entrare per perseguire con il suo obiettivo, non è sicuramente la fonte più autorevole per aiutare K. nel suo scopo. Nessuno può aiutare veramente K. perché nessuno è mai stato nella sua posizione, nessuno è disposto a mettere in dubbio le regole del villaggio e il proprio ruolo al suo interno. Accade così che il messaggero ufficiale tra K. e il castello, cioè Barnabas, non esterni il minimo dubbio sulla situazione alquanto precaria di K., ma la sua unica preoccupazione sembri essere quella di riferire ciò che gli viene detto: non riesce ad andare oltre, non riesce a decodificare i ritardi della burocrazia o le mancate risposte da parte dei signori. Tutto questo accade perché Barnabas non ha effettivamente coscienza di ciò che fa e con chi si relaziona; lo stesso aspetto di Klamm è qualcosa di ben noto, ma che lo si riesce a descrivere solo nei tratti fondamentali, in quanto è continuamente cangiante in base alle condizioni e alle persone che lo vedono. Il confronto tra le persone è così poco presente che non si riesce a convenire neppure sull’aspetto di una persona; è normale dunque che Klamm appaia in modo diverso in ogni momento. È questa la follia in cui K. s’immedesima: è costretto ad affrontare la realtà rivalutandola ogni volta, finendo per non prendere più posizione su ciò che accade, in quanto sarebbe un’operazione vana e contraddittoria nel suo porsi.

 

« si è andata formando un’immagine di Klamm che senza dubbio nei tratti fondamentali corrisponde al vero. Ma solo nei tratti fondamentali. Per il resto è mutevole, e forse neppure così mutevole come l’aspetto effettivo di Klamm. Sembra che appaia in un modo quando viene al villaggio e in tutt’altro modo quando lo lascia. »

 

Il sistema del villaggio è così perfetto e oleato che ogni tentativo di eluderlo viene subito soppresso. È il caso della famiglia di Barnabas, tanto odiata dal villaggio ed esclusa dalla sua vita a causa del rifiuto di sua sorella Amalia di sposare un potente signore che la voleva per sé. Infatti, quando il messaggero del signore arriva a casa di Amalia con una lettera per confermare le nozze è cacciato dal padre della ragazza, in quanto lei non voleva saperne di accettare il matrimonio, non era assolutamente attratta dal signore. Questo è un fatto inaccettabile per il villaggio: non c’è niente di più disonorevole di trattare male un diplomatico. Così la famiglia viene bandita dalla vita pubblica, il padre di Amalia perde soldi e relazioni di lavoro; si trovano così in uno stato di decadenza psicofisica. La soluzione per rimediare al danno c’è: consiste nel chiedere scusa pubblicamente dell’accaduto. Questo però non avviene perché il padre di Amalia ritiene più importante la scelta di preservare la figlia dal signore, piuttosto dell’approvazione popolare. È un classico esempio di ciò che accade a chi non si appresta a seguire quello che l’ottica comune prescrive: si è pubblicamente radiati, non dal punto di vista legale, ma a livello di relazioni, di fama e di considerazione.

 

« si accorgevano che non avevano la forza di lasciarsi alle spalle la storia della lettera e se la prendevano con noi [qui sta parlando la sorella di Amalia], non sottovalutavano la gravità del nostro destino, pur non conoscendo esattamente, se fossimo riusciti a vincerlo saremmo stati onorati in proporzione, ma poiché non c’eravamo riusciti fecero in modo definitivo ciò che fino ad allora avevano fatto in modo provvisorio, ci esclusero da ogni cerchia, sapevano che con ogni probabilità loro stessi non avrebbe retto meglio alla prova, ma ciò rendeva ancora di più necessario separarsi da noi completamente. Ora non si parlava più di noi come persone, il nostro cognome non fu più pronunciato. »

 

Edgard Degas, "L'assenzio" (1875-1876)
Edgard Degas, "L'assenzio" (1875-1876)

 

La soluzione che escogita la famiglia per non morire è quella che il sistema con il suo gravoso peso gli impone: attraverso Amelia prima, e Barnabas poi, cerca di riprendere i contatti con la comunità attraverso  i servi che circolano tra i vari alberghi del villaggio, i quali fanno su e giù con il castello. Questa sorta di pellegrinaggio in cerca di un’autorità che dia loro una possibilità termina con l’incarico offerto a Barnabas di fare il messaggero tra il castello e il nostro protagonista. K. si ritrova così a incarnare la possibilità di riscatto di un’intera famiglia, la possibilità di rientrare nel sistema: forse questo è un ulteriore passaggio che certifica ormai la totale dipendenza di K. dal villaggio.

 

Nei giorni successivi K. apprende, da uno dei suoi aiutanti, che Frieda ha intenzione di lasciarlo, per tornare al suo vecchio lavoro. Nel contempo K. riesce prima a parlare con Bürgel e poi con Erlanger, due segretari del castello, dai quali non riceve delle risposte in merito al suo incarico, ma semplicemente gli viene detto di lasciar tornare Frieda al suo lavoro affinché Klamm, suo precedente amante, non si accorga che sia cambiato qualcosa nell’equilibrio della sua vita. Infatti Klamm soggiorna nell’Albergo dei Signori, dove Frieda lavorava come mescitrice prima di incontrare K.. I due segretari si preoccupano affinché Klamm non si accorga di nulla dei cambiamenti avvenuti all’Albergo dei Signori, altrimenti non si sa come l’avrebbe presa. Questo aver cura di far tornare tutto alla normalità è il risultato dell’opera destabilizzante che ha portato K. all’inizio del suo soggiorno: ora, uno dei suoi obiettivi iniziali svanisce e Frieda torna a ricoprire il suo ruolo nel villaggio.

 

La storia termina con un periodo che rimane sospeso: come accennato all’inizio la storia non ha una conclusione. Kafka non ha il coraggio di dare un finale alla narrazione. Probabilmente per un po’ K. lavorerà come aiutante delle cameriere di camera dell’Albergo dei Signori, lo stesso dove lavorava Frieda e dove soggiornava Klamm. Dopo di che non si sa altro, non si sa se K. scapperà, se resterà nel villaggio, se otterrà il posto da agrimensore che tanto desiderava, non si sa se si sposerà. Ciò che rimane sicuramente è il rapporto di K. con il villaggio: un cercare di evitarsi a vicenda, uno scontro tra due identità distinte, che finisce poi per essere unione inevitabile e dipendenza reciproca.

 

20 novembre 2018

 








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