Educare all'autonomia

 

Ci si chiede come debba essere impostata l’attività educativa finalizzata all’acquisizione dell’autonomia. Potrebbe sembrare paradossale, tuttavia l’autonomia può essere raggiunta solo tramite la protezione del bambino da parte dell’adulto.

 

di Alessandra Zen

 

Berthe Morisot, "Bambini che giocano " (1886)
Berthe Morisot, "Bambini che giocano " (1886)

 

Accostandoci al delicato tema dell’educazione diviene necessario e fondamentale chiedersi a quale obiettivo primario debba tendere qualsiasi azione educativa. Qual è l’aspetto che distingue l’adulto dal bambino? A ben pensare, ciò che differenzia il comportamento adulto da quello di un infante è l’autonomia: con il passare degli anni e attraverso la crescita (sia fisica che cognitiva), avviene l’acquisizione di un sempre maggior grado di autonomia. Ciò che distinguerebbe primariamente l’adulto dal bambino sembrerebbe essere, quindi, un maggior grado di autonomia, la quale viene intesa, nel pensiero montessoriano, come il sapersi dare regole di comportamento e il ricercare delle regole proprie che indichino al soggetto come agire in determinate situazioni. Secondo il pensiero della celebre pedagogista Maria Montessori, l’autonomia differisce dall’indipendenza, in quanto quest’ultima deve essere intesa come il non dipendere dagli altri nella realizzazione di attività che il soggetto sa già compiere da solo. 

 

Ci si chiede come debba essere impostata l’attività educativa finalizzata all’acquisizione dell’autonomia. Potrebbe sembrare paradossale, tuttavia l’autonomia può essere raggiunta solo tramite la protezione del bambino da parte dell’adulto. L’attività educativa viene a configurarsi, quindi, come un’azione caratterizzata da una costante ricerca di equilibrio fra due aspetti apparentemente dicotomici, quali la protezione e l’autonomia. Al momento della nascita il cucciolo dell’uomo non è in grado di provvedere alla sua sopravvivenza; la protezione diviene, quindi, elemento fondamentale, non solo per assecondare i bisogni meramente fisici dell’organismo, bensì anche per avviare la persona a forme progressive di autonomia. Quest’ultima si fonda intrinsecamente sulla protezione, sulla presenza emotiva dell’adulto, che ha il compito di “aiutare il bambino a far da solo” (“Aiutami a fare da solo” è diventato il motto di Maria Montessori, dopo che il suo nipotino l’ha pronunciato). Si evince come il compito dell’adulto consista nel mostrare al bambino come svolgere una specifica azione e, in un secondo momento, lasciarlo libero di scegliere e fare come riesce. La protezione risulta essere una sorta di scalino su cui si sale per raggiungere in modo progressivo e graduale, prima indipendenza e, successivamente, autonomia. L’azione del bambino sarà caratterizzata da tentativi a prove ed errori, nei quali l’errore diviene il maestro fondamentale. Maria Montessori, nella sua pedagogia, concepisce l’errore come uno strumento di autoperfezionamento: il soggetto, di fronte alla consapevolezza di aver compiuto un errore, attiva un processo di autocorrezione, tramite il quale perviene a nuovi apprendimenti. Maria Montessori, a tal proposito, aveva ideato degli oggetti che permettevano al fruitore di scoprire da sé gli errori compiuti e di avviare, conseguentemente, dei processi cognitivi volti a risolverli. La nota pedagogista affermava:

 

« Noi vedremo come il bambino lavori da sé al proprio perfezionamento. La strada giusta gli è indicata non solamente dagli oggetti che adopera, ma altresì dalla possibilità di riconoscere da solo i propri errori per mezzo di questi oggetti. »

 

Esempio di gioco montessoriano autocorrettivo, in quanto ogni figura solida deve essere collocata in un posto preciso. Il bambino può accorgersi da solo se ha compiuto degli errori, perché nota che un certa forma non entra perfettamente in uno spazio.
Esempio di gioco montessoriano autocorrettivo, in quanto ogni figura solida deve essere collocata in un posto preciso. Il bambino può accorgersi da solo se ha compiuto degli errori, perché nota che un certa forma non entra perfettamente in uno spazio.

 

Concretamente, quindi, come deve porsi l’adulto nei confronti del bambino che deve educare? Innanzitutto, l’elemento fondamentale è la fiducia, fiducia che deve palesarsi nei confronti del bambino e delle sue capacità. La fiducia si traduce nel rispetto per l’agire e per l’esplorazione del bambino, il quale ha il diritto di esperire attivamente l’ambiente naturale e sociale nel quale è immerso. Troppo spesso vediamo bambini soffocati dall’eccessiva presenza degli adulti di riferimento, i quali sostituiscono l’iniziativa degli educandi, ostacolando il loro percorso verso la libertà. Maria Montessori, nella sua opera Il metodo della pedagogia scientifica (1909), affermava: 

 

« Chi è servito invece di essere aiutato è leso nella sua indipendenza. Questo concetto è il fondamento della dignità degli uomini. Non voglio essere servito perché non sono un impotente, ma dobbiamo aiutarci gli uni gli altri, perché siamo esseri socievoli, ecco ciò che bisogna conquistare prima di essere veramente liberi. »

 

La dipendenza (intesa come mancanza di indipendenza) non ha come unica conseguenza il mancato raggiungimento di una piena libertà, bensì anche una sorta di rattrappimento della facoltà dell’immaginazione. Dipendere costantemente dagli adulti crea, nel bambino, difficoltà nel trovare attivamente iniziative e modalità di risoluzione di alcuni problemi.

 

Diego Velázquez, "Las Meninas" (1656)
Diego Velázquez, "Las Meninas" (1656)

 

In conclusione, si vuole sottolineare come un’educazione all’autonomia e all’indipendenza non debba essere fondata sul conferimento di totale libertà all’educando, ma debba essere caratterizzata dal rispetto di alcune regole, le quali dovranno essere individuate in modo collaborativo da adulto e bambino; in questo modo i limiti non appariranno mere imposizioni esterne, ma verranno compresi nella loro utilità di regolare i rapporti umani all’interno della comunità sociale nella quale qualsiasi uomo è inserito. 

 

4 ottobre 2019

 









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