La pena di morte: una pratica inutile o essenziale?

 

Perché, anche di fronte ai più temuti criminali e ai reati più violenti, l’uomo dovrebbe scegliere di premiare la vita, anziché ricorrere ad uno dei metodi di punizione più antichi e violenti, ossia la pena di morte?

 

di Linda Calderaro

 

 

«Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della sua persona»: così recita l'articolo 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo, approvata dall'assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948. Questo documento, infatti, ha come scopo principale quello di tutelare ogni individuo, ovvero di mettere ciascuno nelle condizioni di ottenere il massimo vantaggio possibile, favorendo in questo modo il bene comune. Nonostante ciò, oggigiorno, nel mondo, si pesegue ancor un metodo per punire i responsabili di determinati crimini che sembra discostarsi di molto da quelle dichiarazioni, non rispettandone gli intenti. Si tratta della pena di morte, uno dei temi di attualità più discussi e criticati, protagonista di dibattiti e pareri contrastanti.

Utilizzata come sanzione penale fin dall'antichità, ora è stata abolita nella maggior parte dei Paesi del mondo, tra cui l'Italia. È ancora presente negli ordinamenti giuridici di tante altre nazioni, ma se da una parte la maggioranza di esse non svolge esecuzioni di questo tipo da anni, in altre è, tuttavia, ancora applicata. Tra di esse spuntano la Cina, la Bielorussia, l'India, il Giappone, la Corea del Nord, l'Iran, l’Iraq, l’Arabia Saudita, l’Egitto e alcuni stati degli Stati Uniti d'America. I crimini per i quali viene eseguita la pena di morte possono spaziare dai più gravi, come l'omicidio e l'alto tradimento; ad altri meno gravi ma pur sempre violenti come la rapina, lo stupro o quelli legati al traffico di droga; fino ai cosiddetti “reati d'opinione” come l'apostasia (abbandono della propria religione), l'omosessualità e l'incesto.

Secondo alcuni dati forniti dall’ONG Nessuno tocchi Caino, un’organizzazione che promuove la lotta contro la tortura e, di conseguenza, la pena di morte, le vittime mandate nel braccio della morte si aggirano tra le 4.000 e le 5.000 ogni anno. Inoltre, il Paese che ricorre maggiormente alle esecuzioni capitali è l’Iran, con ben 8,9 condanne per milione di abitanti. Lo seguono l’Iraq (5,2), l’Arabia Saudita (4,9) e la Cina (2,2). È importante sottolineare che i dati sulla pena capitale in Cina vengono classificati come segreto di Stato, perciò non si ha la certezza che quelli rilasciati corrispondano effettivamente al totale di esecuzioni svolte nel paese. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, questi numeri hanno iniziato a diminuire, come evidenziano i dati raccolti da Amnesty International. Escludendo la Cina, infatti, nel 2019 sono state punite con la morte almeno 657 persone in 20 Paesi, il 5% in meno rispetto al 2018 (almeno 690). Questo dato è il più basso riportato nell’ultimo decennio dall’organizzazione.

La pena di morte risale agli esordi della civiltà umana, basti pensare alla Legge del Taglione del Codice di Hammurabi, meglio conosciuta come «Occhio per occhio, dente per dente». Infatti al tempo la punizione inflitta per un determinato reato coincideva con il reato stesso; ad esempio la pena per l'omicidio era la morte.

Perché, dunque, nonostante la pratica di punire con la tortura, e addirittura con l’esecuzione capitale, sia da sempre insita nella nostra società, negli ultimi decenni la stragrande maggioranza di Paesi ha deciso di abolirla?

Per rispondere a questa domanda è necessario evidenziare la contraddizione più lampante sulla pena di morte. L’ordinamento giuridico del Paese in cui tale pratica è in vigore ha l’obiettivo, nella maggior parte dei casi, di punire l’individuo responsabile di un omicidio – uccidendolo. L’incongruenza è palpabile. Un esempio analogo e più banale è la situazione quotidiana dove la mamma, gridando, rimprovera il proprio figlio di aver urlato: comportandosi in questo modo non si pone come esempio da seguire per il bambino.

Dunque, punendo con la morte, lo Stato compirebbe un'azione che alla base ha la stessa violenza presente nel crimine commesso dal condannato. Come sappiamo, chi è al potere dovrebbe essere virtuoso per mettere tutti i cittadini nelle condizioni di ottenere un vantaggio: ciò può avvenire solo tramite la legge, che consente alla comunità di raggiungere ciò che vuole.

Questo concetto è ben espresso da Cesare Beccaria, che ne sottolinea l’incoerenza nel suo Dei delitti e delle pene:

« Parmi un assurdo che le leggi che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio. » 

A questo punto è indispensabile confutare un’ulteriore questione avvalorata dai fautori della pena di morte. Essi, infatti, sostengono l’enorme potere deterrente di tale pena; ritengono dunque che solamente con l’esecuzione capitale lo Stato possa distogliere i cittadini dal compiere un determinato crimine: ciò perché questi ultimi, temendo le conseguenze della loro azione, sarebbero frenati nell’adempierla. Questa tesi si rivela infondata soprattutto grazie ai numerosissimi studi a riguardo. Primo fra tutti un’indagine svolta dall’FBI's Crime in the United States, che, come indicato dalla tabella sottostante, mostra le differenze percentuali del tasso di omicidi tra Stati mantenitori e Stati abolizionisti della pena di morte. Possiamo quindi notare che i numeri sono maggiori negli Stati che decidono di applicare l’esecuzione capitale: questo dato evidenzia come essa non sia un deterrente migliore di altri.

 

Un altro spunto di riflessione rilevante è collegato al concetto di errore: esso infatti è presente notevolmente nella società umana. A causa di una previsione errata o di un difetto di conoscenza, molto spesso capita di sbagliare in determinate situazioni. Ciò che in un primo momento può apparirci come bene, quindi come vero, in un secondo momento, analizzate le conseguenze, può rivelarsi un male.

Un discorso analogo può essere attribuito alla pena di morte: uno studio realizzato da Samuel Gross, docente della rinomata University of Michigan School Law, ha analizzato le 7.482 condanne a morte inflitte negli Stati Uniti dal 1973 al 2004, portando alla luce che tra gli accusati, circa il 4% era innocente (340 persone). Di queste, l'1.7% è uscito vivo dalla prigione (144 persone); tra i rimanenti, alcuni sono stati giustiziati, altri invece condannati all'ergastolo. Questa ricerca evidenzia come sia altamente probabile sentenziare la persona sbagliata e come la pena di morte sia dunque una pratica ingiusta.

Inoltre, tale punizione non dà la possibilità al condannato di capire i propri sbagli e cercare di cambiare stile di vita. Molto spesso, infatti, il fautore di un crimine è tormentato da qualche disturbo psichiatrico, generato probabilmente da un trauma passato che lo porta a comportarsi erroneamente. È fondamentale, dunque, far capire l'errore commesso, dal momento che ognuno di noi agisce in funzione del bene: come espresso anche da Socrate, nessuno può fare del male volontariamente. Giustiziandolo, quindi, non lo si aiuta a superare quel problema. Ciò invece può avvenire se il criminale viene incarcerato: in prigione può essere seguito da un team di psicologi che gli forniranno tutti gli strumenti necessari per ricostruirsi una vita migliore, una volta uscito.

In questo modo, si farebbe il bene massimo per l'individuo colpevole, che potrebbe capire lo sbaglio commesso e avere una possibilità di riscatto. Di conseguenza, anche l'intera società ne trarrebbe beneficio e il bene comune verrebbe messo al primo posto.

La pena di morte, dunque, si rivela essere una modalità contraddittoria, ingiusta e violenta per punire un crimine ed è per questo che sempre più Paesi nel mondo decidono di abolirla e di adottare invece metodi più efficienti. Purtroppo, sono ancora molti coloro che la pensano diversamente, ribadendone l’utilità: è quindi indispensabile far capire loro, tramite il confronto, che, eliminandola, si potrebbe raggiungere un bene ancora più grande. Solo in questo modo, la pena capitale sarà uno spiacevole lontano ricordo.

29 maggio 2021

 




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