Da dove viene la Covid-19?

 

La Covid-19 è ormai diventata la triste quotidianità della vita di noi tutti, purtuttavia è curioso come molti non sappiano in che modo sia nata o pensino che sia un qualcosa di naturale e casuale, contro il quale possiamo solo stringere i denti passivamente. Eppure...

 

di Alessandro Tosolini

 

 

In mezzo al marasma e alla babele di opinioni sulla Covid-19, una fra tutte sembra ormai trovare consenso unanime nella maggioranza dell’opinione pubblica: finalmente sta finendo, grazie alla vaccinazione potremo tornare a vivere e ritornare alla bella vita di un tempo.

 

Certo, sono passate in mezzo un po’ di crisi economica, qualche chiusura e la disoccupazione e la precarietà sono galoppanti. Però tutto sommato si può tornare a passeggiare e a bere al bar. I più zelanti addirittura si erano spinti a negare fin da subito che il virus esistesse oppure più moderatamente lo paragonavano ad un’influenza, siccome non avevano la pazienza di sopportare le chiusure e la privazioni della mobilità.

 

Una cosa però accomuna negazionisti e positivisti, no vax e pro vax: nessuno o pochi si interrogano su come sia possibile che questo virus abbia potuto così facilmente sconvolgere la nostra esistenza. Per quasi tutti questa questione non è importante: i virus capitano e sono sempre capitati, adesso che questo è stato finalmente sconfitto potremmo tornare alla buona vecchia vita della modernità liquida, senza grandi traumi e scossoni.

 

La stessa filosofia, quella che più dovrebbe squarciare il velo di Maya per rivelare l’origine dei fenomeni, non si è interrogata se non in pochi casi sulla questione. Come già avevo mostrato in questo articolo, il dibattito sulla situazione pandemica che ha riguardato alcuni dei maggiori nomi della filosofia italiana si è concentrato sull’interpretazione biopolitica del virus, che vede le misure di contenimento come un dispositivo biopolitico di controllo sociale, oppure sulla contestazione di questa interpretazione.

 

Un dibattito che, seppur contiene alcuni punti di interesse, è ben lontano dall’arrivare all’essenza della questione. La stessa cosa si può dire in merito alla diatriba che allo stesso modo ha coinvolto alcuni grandi nomi della filosofia italiana sul certificato verde (cosiddetto green pass), che viene parimenti interpretato in maniera piuttosto manichea o come dispositivo biopolitico di controllo o come corretta misura di sanità pubblica. 

 

Neanche tra i filosofi dunque, ovvero tra coloro che maggiormente dovrebbero sottoporre a critica la credenze della pubblica opinione e del senso comune per elevarle, sembra esserci un’interesse per questo problema. Certo, non parliamo di tutti i filosofi. Ad esempio con grande preveggenza il filosofo francese Alain Badiou aveva già individuato il problema in un suo saggio sulla situazione pandemica.

 

« Un’epidemia ha questo di complesso, che è, sempre, un punto di articolazione tra le sue determinazioni naturali e le determinazioni sociali. La sua analisi completa è trasversale: bisogna afferrare i punti in cui le due determinazioni s’incrociano, e trarne le conseguenze. » (Alain Badiou, Sulla situazione epidemica

 

Da qui Badiou individua come le cause della pandemia intreccino numerosi fattori: il mercato mondiale che fa circolare le persone e i contatti tra specie umane e animali, nel caso concreto i mercati di animali a Wuhan. Si crea quindi un complesso miscuglio in cui dall’elemento naturale si arriva all’elemento sociale che amplifica e accelera la diffusione del virus.

 

Queste interessanti considerazioni di Badiou, che risalgono ancora al 2020, ovvero agli inizi della pandemia, non dovrebbero in realtà sconcertare l’osservatore acuto. Si tratta in realtà di cose ampiamente note all’interno del dibattito scientifico, un dibattito che pop-filosofi, influencer e politici che egemonizzano il dibattito pubblico da noi tendono ad ignorare, perché poco funzionale alla fama effimera o alla manipolazione delle informazioni a fini di propaganda.

 

Insomma ciò che emerge dal discorso di Badiou sono le cause antropiche della pandemia, un elemento che se è presente nella consapevolezza di molti scienziati ed esperti, lo è assai poco nel dibattito politico o nelle diatribe della pubblica opinione. 

 

Il problema è che ci avevano fatto passare l’idea di una scienza completamente isolata dalla storia e dai fattori umani, dotata di un’oggettività assoluta, e degli scienziati come una sorta di sacerdoti e oracoli. Ovviamente la pandemia ha fatto in poco tempo a pezzi questa idea, consegnandoci lo spettacolo di virologi, epidemiologi e medici che commettevano una gaffe dietro l’altra, attratti, ben più che dall’oggettività scientifica, dalla necessità di fare audience con affermazioni discutibili. 

 

G. Grosz, "Il Funerale" (1917-1918)
G. Grosz, "Il Funerale" (1917-1918)

 

Eppure avvertimenti su una possibile pandemia globale erano già stati lanciati, ad esempio nel libro Spillover di David Quammen del 2012 e in quello di Rob Wallace del 2016 Big Farms Make Big Flu. In quest’ultimo autore troviamo interessanti considerazioni sulla connessione tra la pandemia e le politiche neo-liberiste capitaliste.

 

« Ebola […] emerge dalle foreste remote con i pipistrelli locali, e si riversa sui lavoratori, che poi migrando lo portano nei capoluoghi di regione. »  (Rob Wallace, intervista) 

 

Tutto ciò causato dalle politiche liberiste del Fondo Monetario Internazionale (FMI) in Africa, che da una parte spingono i governi locali a tagliare l’assistenza sanitaria e la protezione animale per ottenere prestiti, da un’altra consentono alle multinazionali di abbattere le foreste, mettendo a contatto l’uomo con portatori del virus come i pipistrelli

 

Lo stesso fattore, ovvero lo sfruttamento delle risorse e l'abbattimento delle foreste, si può riscontrare in Cina e da qui l’aumento dell’interfaccia con i pipistrelli, il serbatoio di diverse varietà di Covid-19. Tutto questo strettamente connesso sempre con le stesse forsennate politiche di sviluppo capitalista. 

 

Del medesimo avviso l’approccio ecologico di Ernesto Burgio. Pediatra, esperto di epigenetica e di biologia molecolare, egli da tempo afferma la necessità di studiare le malattie in stretta connessione con l’ambiente anche sociale in cui si sviluppano, criticando un’impostazione eccessivamente meccanica e deterministica sulla questione. In base a questo approccio, egli considera la Covid-19 coma la prima grande pandemia dell’Antropocene

 

Secondo Burgio infatti basta guardare alla natura dei recenti virus e alla facilità con cui questi sono capaci di fare il “salto di specie” per comprendere lo stretto intrecciarsi tra elementi antropici e naturali: il sovraffollamento degli animali negli allevamenti intensivi, la distruzione degli ecosistemi, le condizioni di sporcizia nei mercati di animali, l’inquinamento e il sovraffollamento delle megalopoli. 

 

Se per quanto riguarda il salto di specie dagli animali la questione è chiara, per quanto riguarda l’inquinamento la questione è diversa. Esso infatti favorisce «malattie croniche con forte componente infiammatoria: aterosclerosi e patologie cardiovascolari, malattie endocrino-metaboliche e autoimmuni, cancro, malattie neurodegenerative e disturbi del neurosviluppo» (Ernesto Burgio, La prima pandemia dell'Antropocene). È l’infiammazione delle arterie poi, che specialmente in soggetti obesi, diabatici e anziani favorisce la mortalità del virus. 

 

Questo considerazione spiegherebbe anche l’estrema diffusione del virus in zone industrializzate e inquinate come la Pianura Padana. Da qui si comprende anche, secondo Burgio, il limite delle soluzioni messe in campo dall’Occidente, che da una parte non è interessato a risolvere la questione climatica, dall’altra non mette in campo alcuna seria politica di sanità territoriale, di tracciamento, nonché di prevenzione limitando le soluzioni ad ospedalizzazioni. 

 

Le affermazioni di Burgio ci invitano a riflettere su diverse questioni. Innanzitutto sul fatto che, fatto salvo il ruolo importantissimo dei vaccini nell’arginare la pandemia, questi non sono di per sé sufficienti, dato che per eliminare definitivamente la causa del problema bisogna modificare sostanzialmente sia il nostro stile di vita, che sta distruggendo la natura, sia il nostro modo di concepire la sanità, rendendola più preventiva e territoriale.

 

Ma un’altra questione che viene posta è anche questa: la soluzione e la cura di una problematica medico-scientifica passano anche attraverso una loro declinazione in chiave politica. Ciò ci dovrebbe spingere anche a riflettere sulla stretta connessione tra scienza e politica e sulla necessità di superare un concetto superato di neutralità scientifica, senza per questo abbandonarsi all’irrazionalismo. 

 

Infine, se si vuole considerare un fenomeno che intreccia natura e cultura, scienze sociali e scienze naturali, politica e medicina come la Covid-19, è opportuno fare riferimento ad un approccio olistico che integri tutti questi diversi fattori in una visione d'insieme o "totalità". Un compito che, in poche parole, dovrebbe riguardare una filosofia all'altezza del presente.

 

18 ottobre 2021

 








  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica