Critica della ragione biopolitica

 

In un recente e interessante dibattito su «Micromega», sono stati messi in discussione lo statuto e il valore dell'opera del padre della biopolitica Michel Foucault. Ma qual è la vera posta in gioco di questo scontro intellettuale, oltre che politico? 

 

di Alessandro Tosolini

 

È piuttosto raro, nel panorama desolante del dibattito culturale odierno, che vi siano scontri intellettuali di un certo contenuto e valore, a prescindere che si concordi o meno sulla materia del contendere. Come già diceva Eraclito, è polemos, la guerra, il padre di tutte le cose. E come ha detto Alain Badiou, «l’origine della verità è dell’ordine dell’evento» (Alain Badiou, Manifesto per la filosofia). Ma di fronte agli pseudo-conflitti mediatici della società dello spettacolo, e con la filosofia ridotta a mero specialismo, non vi sono "eventi" e quindi non vi è neanche verità e di conseguenza neanche reale filosofia.

 

Tuttavia, in anni recenti, lo “sciopero degli eventi” di baudrilliardiana memoria sembra ormai un lontano ricordo, ammesso che vi fosse mai stato: come non ricordare infatti che i decenni del disincanto postmoderno sono stati decenni tormentati dal crollo del comunismo e dall’espansione imperiale statunitense, e che quindi di certo gli “eventi” non sono mai mancati. Ma sembra in ogni caso che la crisi generale che attanaglia l’Occidente, fra pandemia di Covid-19, decrescita economica e disuguaglianze sempre più marcate, inizi a sortire i suoi effetti e a smuovere anche intellettuali e settori dell’accademia, di solito poco propensi a farsi influenzare dagli “eventi”. 

 

Riprendendo il filo del discorso, un interessante dibattito si è svolto recentemente sulle pagine dell’ultimo numero di «Micromega». Esso riguarda lo statuto della biopolitica e del pensiero di Michel Foucault. Il dibattito ha il suo epicentro in uno scontro molto acceso tra il direttore della rivista, Paolo Flores d’Arcais e il filosofo Roberto Esposito. Ad aprire la polemica l’articolo del direttore, Gli inganni di Foucault, un'invettiva che decostruisce minuziosamente le tesi della biopolitica foucaultiana.

 

Flores D’Arcais dimostra la sua tesi con un vasto apparato di note e citazioni dei corsi e dei testi dello stesso Foucault. Si parte innanzitutto dalla valenza della distinzione foucaultiana tra epoca della sovranità ed epoca della biopolitica. Innanzitutto per Foucault la sovranità viene intesa primariamente come potere assoluto che conferisce la morte. In tal senso i supplizi e le pene, descritti con sospetta e macabra oggettività su Sorvegliare e Punire, e riservati ai condannati per i più diversi crimini, fungono da pietra di paragone. Poi però questo potere mortifero sarebbe sostituito da un potere «che si esercita positivamente sulla vita, che incomincia a gestirla, a potenziarla, a moltiplicarla»(Michel Foucault, La volontà di sapere) Un potere dunque che si esercita incrementando salute e felicità. È proprio sulla liceità di questa distinzione che si concentra la critica di Flores d’Arcais.

 

Il progetto del famoso "Panopticon" di Jeremy Bentham, da Foucault considerato paradigma del nuovo ordine disciplinare
Il progetto del famoso "Panopticon" di Jeremy Bentham, da Foucault considerato paradigma del nuovo ordine disciplinare

 

Oltre a constatare l’incertezza di Foucault nella datazione della cesura fra le due epoche, egli nota anche come, ben lungi dall'essere caratterizzata da salute e vita, anche l’epoca della biopolitica è pregna di esempi di sfruttamento, morte, barbarie, anzi in un certo senso lo è in maniera molto maggiore rispetto all’epoca della sovranità. Flores D’Arcais cita ad esempio il barbaro sfruttamento di lavoratori e minori delle fabbriche nell’Ottocento, che solo le lotte operaie hanno tamponato: lotte costantemente assenti nel discorso di Foucault, il quale, secondo Flores d’Arcais, dissolverebbe ogni contraddizione tra dominanti e dominati, arrivando anzi a dire che sia le lotte per le riforme che quelle per la rivoluzione sarebbero solidali col sistema. Lo afferma anzi esplicitamente quando sostiene il dissolvimento di ogni «opposizione binaria e globale fra i dominanti e i dominati». (Michel Foucault, Volontà di sapere). Allo stesso modo, anche nell’epoca della sovranità vi sono esempi di “biopolitica”: Flores d’Arcais cita l’esempio di terme e acquedotti romani, che persino oggi sono un miraggio per molti poveri nel mondo. Per non parlare delle evidenze terapeutiche che si possono ritrovare già sul preistorico corpo di Ӧtzi.

 

Tutto ciò condurrebbe, secondo Flores d’Arcais, ad una banalizzazione e semplificazione: così il passaggio dall’Ancien Régime alla Francia rivoluzionaria è solo la conseguenza del potenziamento del medesimo regime disciplinare. Le contraddizioni paiono scomparire in quella che Flores d’Arcais definisce «la transustanziazione delle molteplici realtà storiche di reggimento politico in predicati di un Soggetto metastorico». In tal senso, anche il fatto contradditorio che gli stessi regimi fascisti genocidari e mortiferi sono intesi da Foucault come regimi biopolitici rende evidente la problematicità di questa definizione. Foucault, più che spiegare questa contraddizione, sembra darla per scontato. In tal modo per Flores d’Arcais, attraverso queste semplificazioni, Foucault fa diventare le lotte “un ingranaggio dialettico del dominio”.

 

Il convitato di pietra dell’attacco di Flores d’Arcais pare essere Giorgio Agamben, le cui recenti posizioni sul Covid-19 e le misure di contenimento avevano suscitato parecchie reazioni critiche: reazioni che sembrano echeggiare in un caustico commento di Flores d’Arcais, in cui afferma, in riferimento alle teorie di Foucault sull’autoritarismo della medicina, che «anticipa i no vax, di cui legittimamente può diventare il santo patrono». Questa esagerazione non è priva di una certa verità. Nella descrizione di Foucault infatti scompare qualsiasi visione dialettica di progresso; così anche le invenzioni e i progressi della medicina vengono descritti come funzionali al dominio, senza mostrarne lo sviluppo contraddittorio. Questo discorso, se non lo è apertamente, di certo può fornire numeroso sponde a discorsi contrari alla scienza; una scienza ridotta a mero strumento dell’ordine esistente.

 

In parole povere, che la medicina progredisca o che il sesso venga liberato, tutto rafforza la logica perversa del potere e dei suoi dispositivi. E così, rifiutando sia la riforma del sistema che la rivoluzione, entrambe, secondo Foucault, funzionali al potere stesso, l’unica via sembra quella che Flores d’Arcais definisce «l’eversione quotidiana permanente, senza che si modifichino le strutture di potere», «la “routine di narcisistici épater les bourgeois, filosofici o meno.»

 

Il testo di Flores d’Arcais contiene numerosi spunti e critiche interessanti, anche se non certo nuovi. Molti di essi erano già contenuti nel libro di Jan Rehmann I nietzscheani di sinistra. Deleuze, Foucault e il postmodernismo. Decostruzione di una teoria filosofica. Rehmann infatti rilevava come nei dispositivi disciplinari di Foucault sparisse qualsiasi contraddizione e qualsiasi possibilità di rovesciamento del sistema stesso. 

 

« Il nietzscheanesimo di Foucault si esprime nel fatto che egli cerca di introdurre nel movimento di protesta una critica particolarista che mina dall’interno lo sviluppo di un’etica della responsabilità verso l’intero sociale. » 

 

Un tipo di critica che di per sé si rivela solidale e rafforzativa della svolta economica del capitalismo negli anni 80’, che «anticipa nel cuore di un discorso radicale di sinistra la distruzione neoliberale del legame sociale»

 

Alle critiche di Flores d'Arcais, che sembrano riprendere parzialmente quelle di Rehmann, cerca di rispondere Roberto Esposito nel suo articolo di risposta Immunitas: oltre le feconde contraddizioni di Foucault, tentando di difendere e rivendicare il discorso biopolitico di Foucault, seppur modificandolo e riconoscendo la fondatezza di certe critiche di Flores d'Arcais al paradigma biopolitico per come Foucault lo esprime. Il testo di Esposito è sicuramente molto meno documentato di quello di Flores d’Arcais e si avvale di un apparato di note molto più scarso.

 

Come ha constatato Carlo Formenti in un suo recente articolo, il succo della difesa di Esposito si concentra sulla difesa della sua interpretazione della biopolitica foucaultiana, incentrata sul concetto di immunitas. Secondo Formenti, Esposito tenta di neutralizzare la conflittualità propria del concetto schmittiano di politico, la coppia amico/nemico, proprio attraverso questo concetto di immunitas: il conflitto viene infatti rifiutato da Esposito come foriero di violenza e distruzione per la politica. Esposito tenta di fare questo sia avvalendosi del concetto foucaultiano di biopolitica, che di quello arendtiano di totalitarismo. Da qui, come mostreremo, il tentativo di colpire l’argomentazione di Flores D’Arcais proprio sul problema del totalitarismo e di Hannah Arendt.

 

La difesa di Esposito appare comunque poco convincente. Ad esempio, egli afferma che il fatto che Foucault sia letto e commentato in tutto il mondo rende significativa la sua teoria. Che la teoria di Foucault sia rilevante infatti non risponde alla domanda sul perché sia rilevante, nonché se lo sia in un'accezione positiva o negativa.

 

Ludwig Fahrenkrog, "Destin" (1917)
Ludwig Fahrenkrog, "Destin" (1917)

 

Un'obiezione fondata di Esposito a Flores d’Arcais è che questi però non si interroga sul perché di questo successo e influenza del pensiero di Foucault. Insomma, Flores d’Arcais non si chiede quali siano le basi e le contraddizioni reali in cui si inserisce la biopolitica foucaultiana. Cosa che Rehmann tentava di fare parlando almeno di solidarietà del pensiero di Foucault con la svolta neoliberale degli anni 80’.

 

Esposito pare intuire, sebbene non in questi termini, la questione quando afferma che Flores d’Arcais, in quanto «convinto sostenitore di Hannah Arendt», dovrebbe riconoscere che la stessa Arendt, pur in maniera diversa da Foucault, riconosce «la tesi biopolitica dell’ingresso moderno della vita biologica nel campo della politica», che Flores d’Arcais invece contesta, pur se la Arendt non si riconosce esplicitamente nella biopolitica. Da qui il giudizio negativo della Arendt sulla Rivoluzione Francese, in quanto l’attenzione ai bisogni vitali di sussistenza pervertirebbe «gli uomini della rivoluzione, spingendoli alla violenza, a differenza della rivoluzione americana, che resta sul piano della trasformazione delle istituzioni.»

 

Qui Esposito tocca il punto più debole dell’analisi di Flores D’Arcais, ovvero l'assunzione della categoria di totalitarismo, del “fallimento della rivoluzione”, che è sostenuta da Esposito ma pare comparire fuggevolmente anche nel testo del direttore di Micromega. Rehmann pare invece più consapevole di questa problematica quando afferma che nella «letteratura su Foucault viene recepita soprattutto la sua polemica anti-totalitaria» (Jan Rehmann, I nietzscheani di sinistra).

 

Anche in un articolo di Yuri Di Liberto di luglio dell’anno scorso apparso su Micromega, Filosofia del ritiro. Ritiro della filosofia, pubblicato nello stesso periodo in cui Esposito e Flores d’Arcais elaboravano i loro scritti, la questione viene presa di petto. Egli descrive appunto una “filosofia del ritiro” che si sarebbe imposta con la stagnazione e poi il crollo del socialismo reale e che, identificando il potere col totalitarismo, avrebbero reinterpretato il conflitto non più come lotta di classe, o lotta per le riforme aggiungiamo noi, ma come scontro tra potere e forze “molecolari” che ad esso si oppongono.

 

Da qui un’idea di libertà meramente negativa, che, rifiutando i concetti marxisti come forieri di “totalitarismo”, pone come unica “azione rivoluzionaria” una sorta di resistenza-ritiro, e gli inviti all'inoperosità di Agamben e al desiderio di Deleuze e Guattari o l’invito di Foucault a “non innamorarsi del potere”.

 

Concludiamo richiamandoci nuovamente all’articolo di Formenti. Un altro punto che Formenti sottolinea è il carattere di “lotta per l’egemonia” che questo “scontro” su Micromega rappresenterebbe. Secondo noi, questo scontro rappresenta anche una certa presa d’atto, da parte degli intellettuali italiani di sinistra, non solo dell’impoliticità delle categorie della biopolitica, ma più in generale di un certo rischio irrazionalista e reazionario delle stesse e in genere del postmodernismo, rivelatosi in tutta la sua gravità negli ultimi esiti reazionari del pensiero di Agamben.

 

Tuttavia, se questa presa d’atto vuole essere decisiva, essa richiede anche una critica all’identificazione di ogni tentativo rivoluzionario col totalitarismo, consapevolezza che sembra presente negli articoli di Di Liberto e Formenti, ma non ancora in quello di Flores d’Arcais o negli altri articoli della rivista. Ci auguriamo che questo interessante dibattito possa essere ampliato anche a questa problematica. 

 

8 gennaio 2021

 








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