Lo Stato, quando non educa, punisce. Quando non capisce, reprime. Quando non sa fare politica, si rifugia nella propaganda. L’ultima proposta sulla castrazione chimica per i recidivi di reati sessuali, avanzata dal governo Meloni, è esattamente questo: un gesto di potere travestito da giustizia, uno spettacolo di forza morale offerto a un’opinione pubblica stanca e impaurita.
Dietro la facciata della tutela delle vittime — che pure meriterebbero ben altro rispetto — si consuma una delle peggiori degenerazioni dello Stato moderno: l’uso simbolico del corpo del colpevole per mascherare l’impotenza sistemica delle istituzioni. Non è giustizia: è vendetta con i guanti bianchi. Non è prevenzione: è mutilazione esibita.
La giustizia, nella sua forma più alta, non è mai vendetta. È costruzione razionale di un ordine condiviso, è educazione dell’individuo alla responsabilità, è difesa del bene comune attraverso il diritto e la cultura. Ma quando una società non riesce più a produrre significato, senso, comunità, allora si affida al castigo.
In questa deriva, ciò che conta non è l’efficacia della misura, ma l’effetto scenico: l’illusione che uno Stato forte equivalga a uno Stato giusto. Così, il populismo penale — destra o sinistra poco importa — si nutre della rabbia pubblica e restituisce leggi simboliche: dure, semplici, rassicuranti. Ma inefficaci, se non addirittura dannose.
Il crimine sessuale, infatti, non nasce da un semplice impulso animale che si può spegnere con un’iniezione. Nasce da una cultura — o meglio, da un’incultura — che trasforma il desiderio in dominio, il corpo in oggetto, l’altro in strumento. Una cultura che lo stesso potere contribuisce a generare, se riduce la sessualità a merce, se promuove modelli aggressivi, se ridicolizza l’educazione affettiva e sessuale.
E allora, perché mutilare il sintomo, quando si è deciso di ignorare la causa?
La castrazione chimica, in questo contesto, non è un provvedimento sanitario o rieducativo. È un atto teatrale, pornografico nella sua esibizione del potere. Si pretende di purificare la società spegnendo un desiderio, come se il desiderio fosse il male, e non la nostra incapacità collettiva di educarlo.
Lo Stato, che ha abbandonato le scuole, che ha dissolto il pensiero critico, che ha trasformato la televisione in tribunale morale, ora cerca un riscatto morale nel sangue simbolico del reo. È una regressione inquietante: dalla giustizia al castigo, dalla pedagogia alla chirurgia.
In questa logica, il corpo del condannato non è più soggetto di diritto. È un oggetto sacrificale. Uno strumento su cui la collettività può scaricare la propria colpa — la colpa di non aver educato, protetto, compreso. La colpa, in definitiva, di non essere una civiltà.
Non serve giustificare il crimine per rifiutare la barbarie. Non serve difendere il colpevole per opporsi alla mutilazione. Serve piuttosto ribadire un principio fondamentale: la giustizia o è razionale, o non è. O si fonda sulla comprensione profonda dei meccanismi sociali, oppure resta un gioco di potere mascherato da virtù.
Ciò che davvero protegge una società non è la durezza delle punizioni, ma la serietà con cui previene il male. Serve cultura, non farmaci. Serve scuola, non aghi. Serve responsabilità, non vendetta.
Uno Stato serio si domanda: perché si commettono queste violenze? Cosa manca nell’educazione, nella famiglia, nella società? Come si può intervenire prima che il crimine si compia? Uno Stato serio non cerca il consenso mutilando corpi, ma ricostruendo coscienze.
In tempi oscuri, in cui il consenso si ottiene con la paura e il silenzio è scambiato per assenso, serve il coraggio del rifiuto. Rifiutare la confusione tra giustizia e vendetta. Rifiutare la barbarie mascherata da sicurezza. Rifiutare l’umiliazione travestita da ordine.
Ogni volta che si approva una legge feroce, si uccide un pezzo di civiltà. E lo si fa — ed è il peggio — in nome del bene. Che è la forma più sottile e perversa del male.
La rivoluzione, quella vera, non sarà mai una legge. Sarà un atto di cultura. Di educazione. Di amore. Perché uno Stato che ha bisogno di castrare per farsi rispettare è uno Stato che ha già perso ogni autorità. E ogni umanità.
21 agosto 2025
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