Perché bisogna essere persone morali?

 

Quando c’è da compiere una scelta, dare un giudizio, prendere una decisione, ci si interroga se si stia rispettando il punto di vista morale. Ciò che è utile all’individuo non è sempre morale: sembra questa la narrazione che viene proposta, con l'economia, la scienza e la politica costantemente divise nel seguire l’uno o l’altro principio. È questa la vera dialettica del discorso?

 

di Antonio Martini

 

Sandro Botticelli, "Calunnia" (1491-1495)
Sandro Botticelli, "Calunnia" (1491-1495)

 

Molto spesso si mette in contrapposizione l’utile con il morale e si cerca di uscirne con meno effetti collaterali possibili. Da una parte si valutano i vantaggi che quella scelta potrebbe comportare; dall’altra si ha paura di quello che nascerebbe all’interno della coscienza, dei possibili fantasmi interiori.

 

Ciò che è utile all’individuo non è sempre morale: sembra questa la narrazione che viene proposta, con l'economia, la scienza e la politica costantemente divise nel seguire l’uno o l’altro principio.

 

È questa la vera dialettica del discorso? Utile e morale sono contrapposti? È possibile ricavare un utile facendo il male morale? È una scelta essere delle persone morali?

 

Il campo morale è il luogo in cui viene espressa la libertà soggettiva, dove si può vedere ciò a cui mira l’individuo, quali sono i suoi valori, per cosa vive. Si può essere temperanti o iracondi, furbi od onesti, garbati o irrispettosi, composti o baldanzosi. È una scelta della persona e solo a lei spetta il decidere da quale parte stare. 

 

Ognuno fa letteralmente quello che vuole, nel senso che agisce nel modo che ritiene corretto. Non si può fare quello che non si vuole: anche l’agire “contro voglia” è in realtà un agire per uno scopo, perché si pensa che quello che si sta facendo possa portare dei frutti. Ognuno dunque agisce perché ricerca il suo bene; che poi lo realizzi concretamente è un altro discorso.

 

Per realizzare se stessi, non è possibile prescindere dal considerare gli altri in questo processo. Negli altri si trova confronto, condivisione, comunione: non si può prescindere da loro. All’interno dei nostri gruppi, delle nostre classi, della nostra società, del nostro Stato abbiamo delle responsabilità. Se chi è al tuo fianco sta male è anche in parte colpa tua; se sta bene, rallegrati perché anche te hai contribuito a questo. 

 

Ritornando alla presunta dicotomia utile-morale è presto fatto notare che è infondata. Il realizzarsi, l’essere libero è ciò che l’individuo vuole: il suo utile. La divisione tra morale e utile sussiste solo nel caso in cui si prescinde la vita individuale da quella collettiva. In questo caso sì, si può ritenere di ricavare un guadagno e allo stesso tempo di non compiere azioni morali verso gli altri. Il guadagno sarà però solo apparente, perché, nel frattempo, s'avrà penalizzato qualcun altro. Nel penalizzare l’altro non si farà che penalizzare se stessi: l’utile così è scomparso.

 

Edgar Degas, "Il mercato del cotone" (1873)
Edgar Degas, "Il mercato del cotone" (1873)

 

Essere persone morali è sì una scelta perché c’è la possibilità di fare cose profondamente sbagliate e ingiuste, ma sotto un’altra accezione è qualcosa di inevitabile: tutto ciò che si compie è in vista del bene e del morale: si è inevitabilmente esseri morali, ognuno in grado diverso.

 

Il dovere morale non è eteronomo, imposto: è l’accordo che la ragione fa con se stessa, intendendo la ragione come il pensiero assolutamente valido. Non si può dare nessuna costrizione: tutto ciò che ci imponiamo di fare è perché ci crediamo.

 

Il dovere morale non coincide con le regole o con le leggi, potendo infatti trovare leggi ingiuste, le quali non devono essere accettate. Il diritto è espressione del valore, deriva dagli uomini che lo costituiscono e lo approvano. Il diritto diventa contenuto del volere, dal momento in cui la volontà individuale aderisce a quella generale, che si esprime nelle leggi. 

 

Solo capendo che una legge è giusta, sarà possibile porsi il dovere di rispettarla. La moralità è dunque la manifestazione astratta del diritto, in quanto ognuno ha la possibilità di riconoscersi nell’atto che compie e, nel far questo, essere nella legalità.

 

Giovanni Fattori, "Garibaldi a Palermo" (1860)
Giovanni Fattori, "Garibaldi a Palermo" (1860)

« Il punto di vista morale è […] il diritto della volontà soggettiva. Secondo questo diritto la volontà riconosce ed è qualcosa soltanto nella misura in cui questo qualcosa è il suo, essa vi è a sé come cosa oggettiva. » (Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto)

 

L’individuo è costantemente diviso tra la dimensione di cittadino e quella di suddito. È cittadino nella misura in cui la sua moralità coincide con leggi e sarà suddito quanto più si sentirà assoggettato alle leggi e le riterrà ingiuste.

 

«Il punto di vista morale è il punto di vista del rapporto e del dover essere ovvero dell’esigenza.» (Ivi) L’individuo, per realizzarsi, necessita di porsi dei fini: l’esigenza che ne deriva è il punto di vista morale. Il fine che l’individuo si pone è ciò che lo appaga. Ecco dunque che i nostri dubbi trovano conferma: l’utile (ciò da cui si è appagati) lo si può rinvenire solo nel realizzare quello che ci si propone: la moralità è ciò che ci realizza. 

 

Si può parlare di dovere come nesso tra diritto e valore, solo dopo aver visto che il dovere è un’esigenza. Il diritto, in quanto volontà comune, è espressione del valore. Il dovere si presenta alla coscienza o come legge o come comando.

 

Prendiamo ora il fascismo, analizziamolo velocemente sotto queste categorie e cerchiamo di vedere come sia potuto verificarsi. La dicotomia utile-morale è anche qui un che di contraddittorio.

 

« Il fascismo doveva essere sentito come atto di libertà, e quindi come identificato con la volontà del singolo. Nel che era implicito che, dove tale identità non si fosse, comunque, realizzata, la legge della coscienza  ̶  che è sempre di necessità presupposta  ̶ avrebbe dovuto provocarne tempestivamente la denuncia, e conseguentemente la decadenza. » (Gustavo Bontadini, Dal problematicismo alla metafisica)

 

Aderire al fascismo è stata una scelta morale, del singolo: un modo per realizzare la propria libertà. Gli stessi fascisti ammettevano che, qualora le aspettative di libertà del singolo non fossero state ripagate, sarebbe intervenuta la coscienza a far decadere quell’ideologia.

 

Eppure qualcosa è andato storto, la libertà del singolo è stata violata, ma la coscienza non si è attivata. Com’è potuto accadere questo? Il fascismo si era ormai impossessato delle istituzioni e per farlo decadere sarebbe servita la volontà generale del popolo. Questa non si pronunciò: «ai pochi che credevano, ed ai pochi che lottavano contro, ci furono i molti che preferirono non credere, ma profittare, e stabilirono quel circolo cinico della falsa testimonianza.» (Ibidem)

 

La volontà generale ha preferito l’apparente utilità e comodità di rimanere assoggettati al regime fascista, alla moralità che uno Stato più democratico avrebbe potuto garantire. Per paura delle possibili ripercussioni, inizialmente, il popolo italiano non riuscì a ribellarsi. Fu questa la presa di posizione immediata degli italiani: fu attuata una separazione tra morale e utile.  

 

La libertà è un principio propriamente interiore, che può provenire solo dalla volontà. La libertà non deriva dalla legge, bensì questa è la sua manifestazione. È indispensabile essere consapevoli che da una parte si è cittadini, cioè coloro che producono la volontà generale sotto forma di leggi; dall’altra si è sudditi, cioè coloro che subiscono la legge e cercano in tutti i modi di cambiarla. È questa la vera dualità che alberga all'interno della morale: una parte del nostro io è quella che ha prodotto le leggi e si rispecchia in esse; l'altra, si trova disaccordo e cerca di cambiarle. 

 

« La libertà è principio radicalmente interiore, e solo conseguentemente esteriore, è, cioè, nella volontà, e non, per sé, nella legge, nella istituzione o nel costume. » (Ivi)

 

9 dicembre 2019

 








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