Tutto il mondo è il lago Chad

 

Gli spostamenti dovuti ai cambiamenti climatici sono una delle più grandi sfide che l'umanità dovrà affrontare tra pochissimo tempo ma a monte occorre fare una riflessione sugli altri fattori che si uniscono, i quali appaiono in realtà strutturali.

 

di Marco Pieretti

 

 

Il 1 agosto di quest’anno è uscito un documentario intitolato “Tropico del caos”, in cui il regista Angelo Loy racconta l’evoluzione delle condizioni ambientali del bacino endoreico del Chad, un mare fino ad una decina di milioni di anni fa, al centro del quale l’omonimo lago vede da anni, e così continuerà, un ritiro costante e inesorabile. La pellicola riporta diverse interviste a personalità locali in modo da restituire una panoramica dettagliata di come la mancanza di acqua abbia scompensato e continui a creare conflitti e disagi tra le comunità che dal lago dipendevano interamente: a partire dalla scarsità del pescato, l’avanzamento del deserto e dell’aridità dove un tempo si estendevano le zone umide, fino alla fertilità del terreno che si riduce a zero, l’immissione di nuove coltivazioni, la necessità di introdurre nuovi metodi di irrigazione, il sovvertimento di un equilibrio di scambi tra le diverse comunità che abitavano le sponde del lago, l’intrusione delle bande armate di Boko Haram e il loro proselitismo che va a buon fine se di altre opportunità non v’è l’ombra, i campi profughi che ne derivano.

 

Gli aiuti umanitari come COOPI, l’associazione che ha accompagnato il regista nel viaggio per le riprese, sono presenti sul posto da diverso tempo ormai e cercano di portare il minimo sostentamento ai villaggi, cercando di sfruttare l’innovazione e l’istruzione per creare progetti che possano adattarsi e a volte contrastare l’evoluzione che quel territorio sta subendo.

Questo è di massima importanza e probabilmente l’unica strada percorribile, si evince chiaramente dal documentario, visto che il ritiro del lago Chad continuerà a causa del cambiamento climatico in corso, il quale ha portato ad una riduzione drastica delle piogge e temperature in media più alte.

 

Sostanzialmente il caso del lago Chad è emblematico per il fenomeno dei migranti climatici, una categoria di persone in movimento destinato a crescere soprattutto da aree dove le condizioni di vita legate all’ambiente naturale sono già di per sè molto difficili o sono estremamente sensibili a cambiamenti talvolta davvero piccoli. I cambiamenti climatici in atto e inarrestabili non solo porteranno condizioni climatiche più avverse alla vita dell’uomo e di molte specie animali e vegetali, ma di risposta a ciò, costringerà a spostarsi milioni di persone, che porteranno necessariamente complicazioni in più alle comunità che le accoglieranno: tutto ciò, anche se suona come una profezia è una prospettiva a cui bisogna abituarsi, in modo da organizzare al meglio i nuovi equilibri che andranno a crearsi, continuano a precisare i sociologi.

 

Queste dinamiche, oltre a prepararci ad un futuro pieno di sfide, pongono il focus ancora una volta sul rapporto strettissimo che l’essere umano tesse ogni giorno che vive su questo pianeta con il resto della Natura, in un modo che non può pensarsi come esterno e scollegato ad essa. La difficoltà di realizzare questa relazione per i paesi di antica industrializzazione sta nel fatto che questo contatto con ciò che essi chiamano naturale è ormai camuffato da un mercato globale, che allontana la sorgente dal suo utilizzatore, rende non cosciente l’interdipendenza tra sfera umana individuale e il resto della Terra. Questo è un fatto estremamente grave, perché la differenza tra queste civiltà e quelle più “arretrate” (s’intenda per il giudizio che il senso comune ha imposto storicamente secondo criteri industriali e di mercato) risiede soltanto nell’essere più esplicita o meno questa connessione, e non sul fatto che esista o si sia annullata: appunto, le migrazioni saranno un fenomeno che la renderà più chiara e lampante per tutti.

 

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fonte: Altervista.org

 

Spingendosi in un’ulteriore analisi si può intravvedere in molti casi come proprio per questo motivo le comunità umane, a qualsiasi scala, si evolvono seguendo una regola classica che si ritrova in ecologia: semplicemente la disponibilità di risorse è ciò che determina il tasso di crescita di un popolazione che sfrutta quelle risorse per il suo sostentamento e quindi allargamento. Anche se il documentario lo dice un po’ sommessamente, il lago Chad non è esente da uno sfruttamento sproporzionato da parte dei governi locali delle risorse idriche che, per la complicità di un meteo sempre meno generoso, sono passate da un’area di dimensioni simili alla Sardegna ad una pozza di acque quasi ferme in confronto, pari al 10% dell'estensione prima degli anni Sessanta. Come spesso accade, dighe, sbarramenti e deviazioni del flusso per l’irrigazione hanno costituito per il lago e le paludi limitrofe una perdita sempre in aumento negli anni. Perciò, a delle complicazioni climatiche, occorre aggiungere nelle con-cause del ritiro delle acque il fattore umano, il quale segue in modo del tutto incontrollato la legge per cui si cresce fino a che la disponibilità di risorse lo permette – aumentando essa stessa relativamente al fatto che le capacità umane di accaparrarsele aumenta con la crescita che porta nuove tecniche e nuovi rapporti di forza –, poi si arriva al punto di stop per l’esaurimento delle stesse.

 

In un articolo dal titolo "Aiutarli a casa loro”? Il caso della regione del Sahel" dalla rivista Ytali di giornalisti indipendenti si legge:

 

« Pur sottolineando che non è così semplice trarre delle conclusioni certe su connessioni causa-effetto, lo studio spiega come i grandi progetti idrici in questa regione dell’Africa hanno contribuito a dare inizio alla crisi dei migranti. Per ridurre l’impatto dei periodi di siccità sulle attività agricole e pastorali e produrre energia elettrica, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, questa regione ha visto la costruzione di dighe lungo i grandi fiumi che l’attraversano: il Senegal, il Niger, il Logone, il Chari, il Volta, il Hadejia, il Jama, il Nilo nella sua parte iniziale.

L’intento era lodevole. Si cercava, così, di mitigare le grandi crisi legate ai periodi di prolungata siccità di quegli anni. In questo modo, però, lentamente ma inesorabilmente la costruzione dei bacini idrici ha iniziato a produrre dei cambiamenti strutturali nel tessuto economico della regione.

L’agricoltura da un modello alluvionale basato sulla coltivazione dei campi dopo il ritiro delle acque della stagione delle piogge, che nei secoli aveva modellato un vero e proprio sistema economico in equilibrio con la pastorizia nomade e la pesca, sta passando a un modello basato sull’irrigazione garantita dai grandi bacini artificiali che altera questo equilibrio con gravi conseguenze sulla possibilità di sostentamento di intere popolazioni soprattutto quelle che vivono nei villaggi. »

 

Il lago Chad continua ad essere sfruttato, e il suo mantenimento suscita iniziative politiche e sociali che minacciano altri ecosistemi e rischiano di mettere in crisi altre comunità. Come fermare questa evoluzione? Un altro caso particolare che riconduce ad una riflessione sull’universale che deve prendere necessariamente spazio all’interno di una comunità internazionale intenzionata allo sviluppo della specie umana, in cui, come il regista auspica per gli anni a venire, a dialogare non siano più esponenti di stati nazioni, ma rappresentanti delle diverse componenti dell’ecosistema Terra, esenti da rivendicazioni storiche.

 

2 ottobre 2020

 








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