L'importante non è partecipare

 

Vincere nello sport significa vincere nella vita. Lo sport senza l’aspirazione alla vittoria non può essere considerato tale; perché nelle pratiche sportive, così come nelle azioni quotidiane, l’obiettivo che ci si pone è l’affermazione di quei valori che rendono migliore il proprio vivere. 

di Simone Basso

 

Mirone di Eleutère, “Discobolo Lancellotti”
Mirone di Eleutère, “Discobolo Lancellotti”

 

L’attività sportiva è la celebrazione del proprio corpo. Lo sport è definibile come una particolare forma di attività fisica. Con l’espressione “attività fisica” si intende infatti l’insieme delle azioni e dei movimenti fisici che una persona compie, orientati alla realizzazione di un certo obbiettivo. Ad esempio può essere chiamata attività fisica l’andare a scuola in bici o a piedi, il fare un lavoro che comporta una certa varietà di movimenti, oppure il tagliare la legna. Lo sport è però una particolare e specifica forma di attività fisica perché possiede come scopo il miglioramento dell’attività stessa che si sta già compiendo. Se si corre perché si è in ritardo, lo si sta facendo per arrivare al punto d’arrivo il prima possibile, questo non è uno sport; se invece si corre per preparare una maratona lo si fa in senso sportivo, cioè con l’obiettivo mirato di correre e di migliorare la tecnica con cui lo si sta facendo.

 

Questa distinzione tra “sport” e “attività fisica” aiuta a comprendere che cosa gli atleti stiano realizzando quando mettono in atto una pratica sportiva. Essi concentrano le proprie energie nel migliorare l’esecuzione del gesto sportivo attraverso un continuo miglioramento di se stessi, del proprio corpo, dell’efficacia dei propri movimenti con l’esercizio e uno stile di vita dedito al miglioramento della performance. È avvenuto quindi che socialmente si siano sviluppate delle forme di competizione tra coloro che in una certa pratica sportiva risultano i migliori, ovvero coloro che meglio sono riusciti a coniugare le proprie capacità fisiche con la dedizione e la costanza nell’incremento di tali potenzialità. Competere significa quindi gareggiare tra gli altri atleti per confrontare i propri risultati con quelli degli avversari e stabilire chi meglio sia riuscito, in quella determinata occasione, ad esprimere le abilità richieste in quello sport.

 

Gli sport si sono tramandati nel tempo e nei secoli perché capaci di esprimere molti valori riconosciuti validi, non solo nel momento in cui li si praticava, ma anche nel resto delle attività della vita. (Per approfondire: Lo sport come base per la formazione del corpo e dell'anima).

Il significato di “competizione” vuole affermare un valore che si differenzia notevolmente dal semplice superamento dell’altro; esso contiene piuttosto, come appena detto, l’impegno instancabile nel migliorare se stessi. Le competizioni nascono con l’intento di elogiare chi è riuscito ad eccellere e ad ottenere, in quella certa occasione, i risultati più ammirevoli.

 

T. Couture, "Il duello dopo il ballo in maschera"
T. Couture, "Il duello dopo il ballo in maschera"

 

Da quando la manifestazione sportiva è divenuta motivo per offrire uno spettacolo ad un pubblico, l’atleta, inconsapevole rispetto al significato delle proprie azioni, ha cominciato ad associare il senso del termine “vincere”, con “l’apparire vincenti” agli occhi degli altri. In tali casi risulta evidente come si sia confuso il significato della parola “vincere” intendendo con ciò il semplice riuscire a battere coloro con i quali si compete; illudendosi, in tal modo, di poter essere vincitori anche senza essere riusciti necessariamente a essere stati i migliori in quella determinata occasione. Così, il termine “vittoria” è stato sovrapposto al significato di “apparire migliori” degli altri, senza per forza esserlo. Da qui l’uso del doping, o di imbrogli di vario tipo, finalizzati, a seconda dello sport, ad arrivare prima dell’altro o a segnare più punti del rivale, come se la vittoria fosse indipendente dal riuscire effettivamente a “fare meglio”, cioè a realizzare più compiutamente i valori contenuti nella pratica di quello sport. Vincere non può significare, esclusivamente, superare l’altro, perché se così fosse verrebbe contraddetta la definizione di sport data inizialmente, ovvero l’essere una particolare forma di attività fisica che possiede come scopo il miglioramento nella realizzazione dell’attività stessa. Vincere, al contrario, significa riuscire ad affermare quei valori racchiusi nella pratica sportiva che rendono lo sport un’attività in grado di formare e migliorare lo spirito e il corpo dell’uomo. Si vedano a titolo d’esempio, la costanza, la perseveranza, il lavoro di gruppo, il rafforzamento del proprio corpo, lo sviluppo dell’attenzione e della precisione, la capacità di concentrazione e l’abilità nel mantenimento della temperanza. Risulta quindi impossibile essere vincenti solo perché si è riusciti ad arrivare primi in una competizione. Infatti, prendendo un caso limite, nessuno oserebbe conferire un reale valore alla vittoria di un adulto che è arrivato primo in una corsa tra bambini; proprio perché in questo caso l’azione di arrivare per primi non è accompagnata dall’insieme di comportamenti che hanno reso quell’apparire vincenti, significativo.

 

Vincere vuol dire riuscire ad affermare nella propria pratica sportiva quei valori contenuti in essa validi anche nel resto delle attività della vita. Al contrario, la “vincita” derivante dal mero superamento dell’avversario non identifica il vero significato di vittoria.

 

Gioco della pallacorda
Gioco della pallacorda

 

Chiarito che cosa sia necessario intendere con il termine “vincere”, si passi ora a considerare gli effetti che la mala comprensione del significato dell’attività sportiva provoca. Molti dei comportamenti illeciti e scorretti riscontrabili nei diversi sport hanno come origine comune questa stessa ignoranza, dei partecipanti, rispetto alle proprie azioni.

 

Si considerino ad esempio molti degli ambienti sportivi frequentati da bambini e adolescenti. È purtroppo frequente la presenza di diversi genitori incapaci di trasmettere il vero significato della parola “vincere”. Il loro comportamento rivela una diffusa incomprensione di che cosa significhi praticare lo sport. Ciò risulta evidente nei momenti della competizione durante i quali questi personaggi esprimono, nei confronti dei propri figli, compagni, allenatori o avversari, la volontà che i propri favoriti appaiano vincitori alla luce del risultato finale della sfida, indipendentemente da come la sfida si realizzi e dal percorso che rende possibile quell’apparire vincenti. Urlano, sbraitano, si arrabbiano in tutti i modi, talvolta arrivando ad aggredirsi tra loro, richiedendo, a coloro che in quella situazione sono gli atleti, di avere come obiettivo la sola spettacolarizzazione della competizione ovvero il solo apparire come vincitori, e non l’affermazione dei valori contenuti in quello sport, la cui realizzazione permetterebbe loro di vincere veramente. Le conseguenze di questi comportamenti si ripercuoto nei ragazzi, i quali, da questi atteggiamenti, derivano come mezzo di valutazione della propria prestazione l’essere riusciti o meno a sconfiggere l’avversario, e non l’essersi battuti più o meno bene.

 

Dall’altra parte, un errore simile è quello di credere di ripristinare una buona educazione sportiva esaltando nulla più che la competizione stessa. Si sente infatti spesso ripetere: “l’importante è partecipare”. Con quest’affermazione ci si illude di smorzare i toni della deprecabile categoria di genitori appena considerata. L’effetto però può risultare altrettanto drammatico. Affermando che “l’importante è partecipare” chiaramente non viene indicata la diversità nel tipo di partecipazione che può essere messa in atto. Partecipare bene o partecipare male, a questo punto, non fa differenza. Al ragazzo quindi non viene mostrato il senso che dovrebbe avere la sua partecipazione alla competizione, che abbiamo identificato essere la vittoria, nei termini sopra descritti. Risulta quindi difficile, per il giovane atleta, capire il motivo per cui è importante partecipare se la motivazione indicata risulta essere la partecipazione stessa. La tautologia è evidente. Da ciò ne consegue che la fatica e l’impegno a cui il giovane si dedica non trovano ragion d’essere lì dove, che si faccia bene o si faccia male, il risultato dell’aver partecipato lo si ottiene in ogni caso. Sarà naturale quindi che il ragazzo smetta di fare quella fatica perché non educato e motivato a continuare, o ricerchi una qualche forma di ricompensa in grado di giustificare la sua dedizione. Tale ricompensa però, se non viene riconosciuta nella vittoria, ovvero nel miglioramento dell’affermazione dei valori che contraddistinguono quello sport, verrà ricercata, anche in questo caso, nella mera soddisfazione del battere l’avversario. Da ciò conseguirà che il ragazzo a cui non viene mostrato il senso della propria partecipazione si orienterà a trarre, dalle fatiche a cui si sottopone, una miope soddisfazione ricavata dall’apparire come vincitore piuttosto che dal dimostrarsi vincente.

 

Non è un caso che nel tempo e nella società attuale l’illusoria indifferenziazione ed equiparazione dei modi di vivere (nello specifico del tema trattato, dei modi di partecipare) conduca all’inseguimento di soddisfazioni appariscenti e rivolte all’esaltazione del proprio apparire più che del proprio essere e fare.

 

Trasmettere i valori dello sport significa mostrare come la vittoria sia innanzitutto proporzionale alla misura in cui si sono affermati i valori dello sport praticato. Non è vincente chi riesce unicamente a superare l’avversario. Bensì chi mostra nello sport la presenza di quegli stessi valori e significati validi anche in ogni altro momento della propria vita. La nostra stessa vita è un percorso che si migliora di vittoria in vittoria. In questo senso, le azioni e le pratiche di ogni giorno, siano esse sportive oppure no, sono importanti in virtù della loro aspirazione ad essere vincenti. 

 

4 aprile 2018

 




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