Individualismo, neoliberismo e crisi climatica

 

Il problema è quello di riuscire a coniugare una dimensione di libertà assolutamente individuale con il problema globale che ci mette davanti la crisi climatica.

 

 

Negli ultimi giorni, giustamente, non si è fatto che parlare di crisi climatica e ambientale, dei pericoli ad essa connessi, e delle misure da prendere per risolvere il problema.

Bene dunque mettere in luce le responsabilità individuali e indicare i comportamenti da tenere per ridurre l’impatto ambientale di ognuno di noi, ma si deve anche parlare dei problemi di ordine sistemico, ideologico e culturale che hanno condotto a tutto questo.

Alla base dei limiti intrinseci del capitalismo degli ultimi quarant'anni, il cui sistema di sfruttamento intensivo e sregolato delle risorse del pianeta è una delle cause principali di questa crisi climatica, sta un orizzonte ideologico: il neoliberismo. Alle fondamenta di questa ideologia vi è un individualismo radicale, che si vorrebbe tradurre nella più smodata libertà individuale per quanto riguarda l’ambito economico, e nel primato del mercato su qualsiasi altra dimensione della vita – appunto perché sarebbe il mercato libero a garantire le migliori condizioni di vita per tutti.

 

« Il fondamento della filosofia liberale è la fede nella dignità dell’individuo, nella sua libertà di trarre il massimo vantaggio dalle sue capacità e opportunità […]. Ciò implica, per un verso, la fede nell’eguaglianza degli uomini; ma, per altro verso, la fede nella loro diseguaglianza […] l’eguaglianza entra nettamente in conflitto con la libertà, e bisogna scegliere. » (M. Friedman, Capitalismo e libertà)

 

L’individuo neoliberista è assolutamente libero, indipendente dalla società e assiologicamente antecedente ad essa. Qualsiasi limitazione della libertà individuale in tema di impresa e di mercato, in sostanza di economia, deve essere ritenuta illegittima e dannosa per l’individuo, per la società e soprattutto per il mercato stesso, dal quale tutto dipenderebbe. Ormai dagli anni ’70 questa ideologia si sta diffondendo globalmente, attecchendo in tutti gli strati della popolazione.

 

« Ogni atto di pubblico intervento limita l’area di libertà individuale in forma diretta e minaccia la preservazione della libertà per via indiretta. » (M. Friedman, Capitalismo e libertà)

 

 

Quale sarebbe il problema, dunque? Il problema è quello di riuscire a coniugare una dimensione di libertà assolutamente individuale con il problema globale che ci mette davanti la crisi climatica. Questa infatti non è una problematica che riguarda il singolo individuo – o almeno non lo è esclusivamente – ma tutto il pianeta senza eccezioni. Come possiamo dunque tentare di risolvere una imminente catastrofe di questa portata rimanendo in un’ideologia che vorrebbe impedirci di regolare l'azione e la libertà d’impresa individuale? Di limitare il potere di ciascuno di trarre il massimo profitto da qualunque situazione, anche a scapito degli altri? Il neoliberismo considera illegittima l’ingerenza del potere politico nell’azione individuale, anche quella più inquinante – e per questa ragione da 40 anni sta tentando di smantellare ogni politica orientata invece all’uguaglianza sociale e a misure di welfare –, e lo stato deve dunque limitarsi a garantire una pacifica convivenza nella società affinché possano darsi le condizioni migliori per il libero scambio di merci.

 

La soluzione sarebbe attuare politiche che riguardino l’intera società, e che in certi casi limitino la libertà d’impresa individuale e il libero mercato – considerato che 100 multinazionali sono responsabili del 70% delle emissioni industriali globali di gas serra –, ma l’ideologia neoliberista, in cui da quarant’anni siamo immersi, ce lo vorrebbe impedire, appunto perché non riesce a coniugare il profitto individuale con i danni che l’inquinamento genera per tutta la società. Imporre di non inquinare, dal punto di vista neoliberista, è un atto illegittimo: politiche ecologicamente sostenibili impongono costi più alti e precauzioni maggiori per i produttori, limitando la loro libertà d’impresa. Inoltre, se l’individuo è superiore alla società, ecco che egli non deve rispondere di danni indiretti causati dalla sua libertà d'impresa, come quelli dell’inquinamento, della povertà, della disuguaglianza di classe – casomai dovrà rispondere solamente dei danni economici diretti che possono derivare da frodi, evasione, ecc.

 

Ciò che serve dunque è un radicale cambio di mentalità, che ci faccia capire che una libertà personalistica che non guarda in faccia niente e nessuno, che non rispetta il cosmo, l’ordine naturale che le sta intorno e da cui dipende, alla fine si ritrova a pagarne le conseguenze, rivelandosi così, in realtà, radicalmente legata ad una dimensione esterna che la precede e le dà forma, e scoprendosi dunque non assolutamente – e astrattamente – libera. Serve capire che una libertà individuale slegata dal bene della società e, congiuntamente, dell’intera natura, conduce solamente al proprio annichilimento.

Necessitiamo allora di diverse categorie per intendere l’economia, il mercato e il progresso, che non si chiudano più in un’astratta libertà individuale, ma che siano capaci di guardare al benessere dell’intera società e della natura cui l’uomo, indissolubilmente, è legato, pena la sua stessa distruzione.

 

 2 ottobre 2019

 








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