Il “Movimento per l'estinzione umana volontaria”. Cos'è e quali sono i suoi riferimenti filosofici

 

La pandemia da Sars-coV-2 ha messo in discussione il nostro ruolo e il nostro scopo sulla terra. Dalle Beghine alle associazioni ecologiste, passando per Schopenhauer, è possibile concepire l'estinzione umana?

 

di Giulia Bertotto

 

 

La pandemia di Sars-coV-2 ha sollevato argomenti di riflessione intensi, sono circolate affermazioni come «Il virus siamo noi», legate ad una sorta di senso di colpa “ecologista” rispetto al nostro impatto sul pianeta, che sembra però anche ricalcare in modo secolarizzato quello relativo ad un qualche “peccato originale”.

Il Movimento per l'Estinzione Umana Volontaria esiste davvero e forse in questo momento sta tifando per questo nuovo coronavirus o magari nutre speranze per il passaggio del grosso meteorite che sfiorerà la terra il 29 aprile. Questo Movimento è nato nel 1991, attualmente si trova sotto la forma giuridica di una ONG e il suo fondatore si cela sotto lo pseudonimo di Les U. Knight. Il suo motto che pare un po' confuso è «Si possa noi vivere a lungo ed estinguerci». Vediamo un po': nel '91 l'Italia si faceva teatro della Strage del Pilasto ad opera della Banda della Uno Bianca, intanto Bush attaccava l'Iraq nella Guerra del Golfo e Maradona veniva trovato positivo alla cocaina.

 

Il presupposto da cui nasce l'organizzazione è quello secondo il quale la specie umana è dannosa, senza possibilità di cambiamento, per il pianeta terra e i suoi ecosistemi. Certo difficile dire diversamente trascorsi millenni di massacri, stragi, guerre, sofisticazioni militari per esercitare le più sadiche forme del potere, genocidi e torture di ogni tipo su qualsiasi essere vivente... perfino le esigenze che non implicherebbero crudeltà, come quelle legate al cibo, sembrano non poter essere soddisfatte se non ammassando animali in agonia, inquinando le falde acquifere, distruggendo foreste. Insomma l'uomo, tradizionalmente chiamato a scegliere tra bene e male, sembra non poter sopravvivere senza optare per il secondo.

Ad ogni modo il Movimento è tuttora attivo e per chi volesse associarsi i modi sono due: come “volontario”, militanza che consiste nel rinunciare ad avere figli, o “simpatizzante”, cioè colui che riconosce come irresponsabile la scelta di diventare genitore. Il Movimento dichiara che questa partecipazione ai suoi scopi può essere uno “Stato mentale”, cioè una sorta di impegno a restare vigili su queste riflessioni.

 

Eppure, quello che sembra un abominio del pensiero, non è molto diverso da quando nel II secolo si chiedeva ai manichei “eletti” di non fare figli, e alla categoria dei manichei “uditori” semplicemente di essere al corrente del fatto che, per vincere la battaglia cosmica tra bene e male, fosse preferibile non farne. Questa corrente non pare neppure così estranea a quel Medioevo che vedeva nascere le eretiche beghine, le quali demonizzavano la nostra specie e definivano senza mezzi termini l'uomo “Stirpe di Satana”.

Il cristianesimo, con una posizione che media tra la svalutazione del mondo e la sua esaltazione, reputa che la vita umana sia una cosa buona in quanto voluta con atto libero e volontario di Dio, ma certamente il Regno dei Cieli sarà migliore. Dunque la vita terrena si situa in una sorta di limbo ontologico non certo paragonabile alla beatitudine in Dio.

 

Nell'Antico Testamento (Genesi 9,1-3) Dio dà all'uomo una missione: «Crescete e moltiplicatevi, riempite la terra. Avranno timore e spavento di voi tutti gli animali della terra e tutti gli uccelli del cielo. Essi sono dati in vostro potere con tutto ciò che striscia sulla terra e con tutti i pesci del mare». In effetti, sembra sia andata proprio così.  

 

 

Nichilisimo o misticismo dunque? Impulso verso il nulla o spinta al vero Tutto?

L'antinatalismo sembra più diffuso nella filosofia occidentale di quanto sembri, vantando lunga tradizione di filosofi: il romeno Emil Cioran autore di testi come L'inconveniente di essere nati, il tedesco Schopenhauer, autore della famosa massima «La vita è un pendolo che oscilla tra noia e dolore», e il nostro amato Leopardi che... non credete abbia avuto istinti suicidi dietro quella siepe che il guardo esclude? Certamente li ha sublimati in immortali versi. La sua concezione del pessimismo individuale, storico e cosmico che studiamo fin da piccini si allarga come cerchi concentrici nel lago dello choc che essere vivi comporta per tutti. Ricordiamo la poesia Canto notturno di un pastore errante dell'Asia:

 

« Perché reggere in vita?

Chi poi di quella consolar convenga?

Questo io conosco e sento

che degli eterni giri

che dell'esser mio frale

qualche bene o contento

Avrà fors'altri; a me la vita è male

È funesto a chi nasce il dì natale »

 

Secondo una celebre citazione per Schopenhauer anche il presunto progresso umano non lascia spazio a miglioramenti che legittimino a continuare ad occupare il mondo: «Il diritto del più forte ha solo ceduto il passo al diritto del più furbo», ma il progresso resta solo un bel proposito.

Un altro personaggio davvero interessante e originale in questo panorama è Philipp Mainländer, che si diede la morte a 35 anni con una solennità macabra degna del più avvincente thriller: si impiccò infatti ad una pila della sua fatica saggistica Filosofia della redenzione. Secondo lui – vero coniatore dell'espressione «Dio è morto» – ogni essere vivente desidera in fondo la morte, l'annullamento, e il suicidio è l'unica forma di redenzione possibile. Ma magnifica è la spiegazione, di matrice manichea: Dio vorrebbe tornare in se stesso, perfettamente reintegrato; tuttavia si trova disperso nel molteplice delle forme di vita nel cosmo, frammentato in ogni esserino, dalle lucertole a me che scrivo e a te che leggi, e non può se non attraverso la morte di ciascuno di noi. Dunque la vita delle creature è il percorso di morte, cioè di ricostituzione del divino – dottrina antichissima in diverse religioni d'Oriente. Cosa dicono se non questo i buddhisti quando esortano a non desiderare perché il desiderio è dolore? La salvezza sta nell'interrompere il ciclo delle reincarnazioni, non nel reiterarlo.

Secondo il filosofo norvegese Peter Wessel Zappfe l'essere umano ha una natura paradossale: si sforza di trovare un significato alla sua esistenza nel mondo, ma il suo dramma è che questo non è possibile. A suo avviso gli uomini evitano di pensare a questo (isolamento), si attaccano a obiettivi e valori (ancoraggio), si danno al lusso o ai piaceri (distrazione) oppure per mezzo dell'arte e della creatività cercano di superare questa condizione irrisolvibile (sublimazione).

Il filosofo sudafricano contemporaneo David Benatar, intervistato da diversi quotidiani, ha dato alle stampe nel 2016 il suo testo Meglio non essere mai nati. Il dolore di venire al mondo, nel quale sostiene che essere messi al mondo non sia un dono ma un oltraggio.

 

Le accuse rivolte al Movimento vanno dalla blasfemia, alla diagnosi di depressione, passando per il cinismo insensibile, a cui questi pensatori rispondono rovesciandole, e asserendo che finora Homo Sapiens non si è dimostrato in alcun modo sensibile verso il creatore né verso i suoi simili, e che forse chi è pronto ad ammetterlo è in realtà più lucido.

Buffa specie l'uomo, che progetta la propria estinzione, distruggendo lentamente il suo stesso habitat o riunendo una congregazione per la propria eliminazione.  

 

27 aprile 2020

 








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