L'eredità darwiniana

 

Nel novembre del 1859 esce la prima edizione de lOrigine delle specie di Charles Darwin, un libro che entrerà nella ristretta cerchia di quelle opere che hanno dato il via ad una rivoluzione concettuale. La portata rivoluzionaria della teoria dell’evoluzione è l’abbattimento della credenza che le specie siano immutabili e che permangano nello stato in cui sono state create. L’uomo non è quindi una creatura speciale, anche lui ha una storia: un tempo non esisteva e nel futuro si estinguerà.

 

 

Il punto di partenza di Darwin è la constatazione, attraverso numerosi casi di studio empirici, che la variabilità è il motore del cambiamento di generazione in generazione e che, una volta avvenuta una variazione, questa è in grado di essere trasmessa alla prole. L’ereditarietà delle variazioni è cumulativa, anche se Darwin non riesce a spiegarsi il perché e per questo porta come spiegazione in un primo momento il principio dell’uso e del disuso di Lamarck. Le variazioni individuali non sono qualcosa di necessario, ma sono dovute a diversi fattori tra cui la legge dello sviluppo correlato, l’influenza dell’ambiente e l’uso o non uso delle parti.

 

« Non è probabile che la variabilità sia una caratteristica necessaria e inerente, in qualunque circostanza. La maggiore o minore forza dell’eredità e della revisione decidono se le variazioni sono destinate a persistere. La variabilità è regolata da molte leggi sconosciute, la più importante delle quali è forse quella dello sviluppo correlato. Una certa influenza, non sappiamo fino a qual punto, può essere attribuita a effetti conseguenti dalle condizioni di vita. Forse una grande influenza è esercitata dall’uso e non uso delle parti. Così il risultato finale diviene infinitamente complesso. » (C. Darwin, L’origine delle specie)

 

La trasmissione delle variazioni avviene secondo il “caso”, termine che ha scatenato fin da subito innumerevoli dibattiti, ma che per Darwin corrispondeva al suo deficit epistemologico nel riconoscere la causa sottostante ogni variazione particolare. Come scrive Telmo Pievani nel suo Leggere L’origine delle specie di Darwin, il concetto di “caso” viene utilizzato da Darwin anche per opporsi alla visione lamarckiana secondo cui le variazioni sorgevano in vista dell’effetto benefico che avrebbero dovuto avere nell’individuo; per Darwin non è così: le variazioni non si verificano per uno scopo ben preciso, ma sono il frutto di modificazioni dovute a innumerevoli interazioni che però lui non riesce ancora a spiegare. Come sottolineato da Pievani, il cambiamento non è spiegabile solamente attraverso le variazioni casuali, ma è necessario «un principio di cernita della variabilità, di successo differenziale di una parte della variazione ereditaria» (T. Pievani, Leggere L’origine delle specie di Darwin).

 

Partendo dalla constatazione della permanenza della variazione individuale ereditata, è necessaria una spiegazione che renda conto del motivo per cui queste variazioni permangono all’interno delle specie e vengono ereditate dagli individui successivi. La risposta a questa esigenza viene data da Darwin con la teoria della selezione naturale che deriva dalla “lotta per la vita”: le variazioni vengono ereditate nella misura in cui sono utili per la sopravvivenza dell’individuo nel rapporto con gli organismi che lo circondano. In natura è presente costantemente una mancanza di risorse e di spazi, non è possibile la riproduzione illimitata per tutte le specie; questo porta gli esseri viventi ad essere in lotta tra di loro e quindi a selezionare le variazioni più vantaggiose per la sopravvivenza.

 

« Non importa se le variazioni sono lievi e per quale causa siano insorte: la catena causale che porta alla variazione incontra la catena causale che attribuisce a questa variazione un effetto utile per il suo portatore, nella trama di relazioni “infinitamente complesse” che legano gli organismi tra loro e con le condizioni ambientali. Il risultato non è una certezza di sopravvivenza, ma una maggiore o una minore probabilità di riprodursi. Per analogia con la selezione operata dall’uomo, Darwin chiama questo meccanismo “selezione naturale”, anche se, aggiunge nella quinta edizione di OdS, “l’espressione spesso usata da Herbert Spencer, ‘sopravvivenza del più adatto’ (Survival of the Fittest), è più accurata e talvolta è egualmente conveniente”. » (Ivi)

 

La sopravvivenza compete a chi ha i caratteri più funzionali per l’ambiente in cui è inserito: si danno all’interno dei singoli individui mutazioni intraspecifiche che possono risultare vantaggiose per la lotta per l’esistenza, a discapito di chi non ce le ha. La lotta tra individui, che premia il più adatto, permette di selezionare le caratteristiche più utili al fine della sopravvivenza. Questo meccanismo è solo una parte della selezione naturale, la quale comprende anche le variazioni individuali, l’ereditarietà e le relazioni tra varietà e specie. 

 

« Questa discendenza con modificazioni prodotta dalla sopravvivenza differenziale degli organismi è l’evoluzione per selezione naturale. » (T. Pievani, La teoria dell’evoluzione)

 

Come sottolinea Pievani, la “lotta” non deve essere intesa come mera battaglia o scontro, ma in maniera più ampia come “reciproca dipendenza degli esseri viventi”. Occorre sottolineare che Darwin prende in prestito da Malthus il concetto di “lotta per l’esistenza”, come riportato nella sua Autobiografia, dimostrando ancora una volta come le sue teorie fossero in linea con il pensiero dell’epoca. Anche l’espressione “sopravvivenza del più adatto” viene presa in prestito da qualcun altro, in questo caso da Herbert Spencer, e compare all’interno del testo solo nella quinta edizione (1869), grazie all’opera di convincimento operata da Wallace.

 

Al fine di una più ampia visione della materia evoluzionistica, è importante mostrare come per Darwin la selezione naturale non sia l’unico meccanismo che produca un’evoluzione nella specie. Darwin individua altre tre modalità alternative di fissazione dei tratti: (1) il meccanismo dell’uso e del disuso, con ereditarietà successiva; (2) il mantenimento nei discendenti di tratti ancestrali, non più adattivi; (3) la permanenza di strutture inutili che però sono correlate con caratteri adattivi, i quali hanno provocato effetti collaterali neutrali.

 

Tornando alla selezione naturale, Darwin fa vedere come essa avanzi per processi graduali di accumulo. La selezione procede per processi graduali e va sempre a favore della sopravvivenza individuale, mai di una determinata specie. La formazione di nuove specie è dovuta all’accumulo consistente di variazioni, le quali inizialmente sono mantenute dai singoli individui in quanto a loro convenienti. Le minime variazioni che vengono mantenute ed ereditate dagli individui portano ad una graduale modificazione delle specie: da questo punto di vista è possibile affermare che “Natura non facit saltum”.

 

« Poiché la selezione naturale agisce solo accumulando variazioni leggere, successive o favorevoli, essa non può produrre modificazioni grandi o improvvise; può agire soltanto con passi brevi e lenti. Perciò l’assioma “Natura non facit saltum”, che ogni nuova aggiunta alla nostra conoscenza tende a confermare, è, secondo questa teoria, comprensibile. » (C. Darwin, L’origine delle specie)

 

 

Il punto più dibattuto della selezione naturale è l’applicazione di tale teoria alla società umana. È possibile affermare che il rapporto tra gli esseri umani è regolato dalla lotta per la sopravvivenza? Nell’Origine delle specie Darwin sostiene come l’uomo è caratterizzato da una profonda differenza che lo separa da tutti gli altri esseri viventi, ossia il possesso della ragione e della coscienza. L’uomo ha saputo mitigare gli istinti propri del mondo animale con l’elaborazione e la trasmissione della cultura. 

 

« Le formiche agiscono per mezzo di istinti ereditari e per mezzo di organi o strumenti ereditari, mentre l’uomo agisce per mezzo di conoscenza acquisita e di strumenti fabbricati. » (Ivi)

 

Intelletto e senso morale, frutto del processo evolutivo, sono le caratteristiche che distinguono l’uomo dagli altri esseri umani: caratteri ritenuti vantaggiosi che si sono trasmessi durante le generazioni. Tuttavia, l’empatia, ossia la capacità connaturata di provare compassione per la sofferenza altrui, è un fattore che va in contrasto con la selezione naturale e con cui è necessario convivere. Del resto la selezione naturale non è una legge necessaria, nel senso che è possibile che permangano nell’individuo caratteri che non sono determinanti per la sua esistenza. 

 

Ciò che risulta problematico nella teoria della selezione naturale è che se non c’è distinzione di genere tra l’uomo e gli altri animali, ma solo di grado, allora la lotta per l’esistenza deve essere applicata anche all’uomo, senza nessun valore che la trascenda. Questo tipo di deduzione è fortemente problematica, in quanto la vita che viene portata avanti dagli uomini non è mai in vista della mera esistenza, ma sempre di un valore che la trascenda, come ad esempio chi si immola per un ideale. Se applicata alla società umana, la lotta per l’esistenza conduce al nichilismo e al relativismo, in quanto con la mera sopravvivenza si vorrebbe negare la possibilità per qualsiasi valore di trascendere la selezione naturale.

 

« Se non c’è che natura, se tutto è materia, essa, allora sì, è una vera e propria “fight” tra gli organismi; se c’è invece qualcosa che la trascende, come un valore rispetto a cui la mera esistenza viene subordinata […] la lotta potrebbe avanzare ad uno stadio ontologico successivo, quello spirituale, e trasformarsi in qualcosa di diverso (magari in dialettica). » (A. Lombardi, David George Ritchie. Un darwinista hegeliano nell’Inghilterra vittoriana)

 

La teoria della selezione naturale fa cadere tutta una serie di credenze filosofiche che possono essere riassunte nella teleologia. Infatti, se l’evoluzione del mondo è dettata dal caso, così come è stato sopra inteso, non ci può essere un disegno divino alla base dell’esistenza e quest’ultima non può essere vissuta per un fine specifico. All’interno della società avviene quindi un cambiamento di visuale: non c’è più un progetto divino che regola l’universo, ma i cambiamenti sono frutto del caos, della guerra della natura. Come scrive Pievani, «per la prima volta, la storia delle specie viene descritta come un processo integralmente naturale che non ha più bisogno di cause finali né di interventi divini» (T. Pievani, Leggere L’origine delle specie di Darwin). Il processo non è prevedibile o determinato, ma è frutto della contingenza che si esprime nell’intreccio tra due movimenti: la catena causale delle variazioni individuali non direzionate e le condizioni di esistenza esterne. L’esistenza o meno di Dio è una questione che ha sempre interrogato la vita di Darwin: nei Taccuini, nell’Autobiografia e nell’Origine delle specie alterna passi in cui si fa portatore di un agnosticismo teistico, in cui riconosce l’esistenza di una Causa Prima, e passi in cui sostiene l’insostenibilità logica naturale di affermare che ci sia qualcosa al di là del mondo che governi indirettamente i principi della variazione e della selezione.

 

« Quando Darwin scrive di non voler escludere l’esistenza della Causa Prima lo sta facendo sulla base di un prudente naturalismo metodologico: restando sul piano scientifico, non può dimostrare né l’esistenza né la non esistenza; sul piano filosofico, la materia è indecidibile. Poi prevale invece un naturalismo più radicale. È illogico credere in qualcosa che non si può capire o che per sua natura è inintelligibile. È contro ogni evidenza pensare che il piano divino si manifesti indirettamente attraverso variazione e selezione. » (Ivi)

 

Darwin sembra sostenere che il finalismo è incompatibile con il male presente nel mondo che deriva dalla lotta per l’esistenza. Lo scenario che si presenta quindi all’uomo dopo il contributo filosofico di Darwin è quello di un mondo senza senso, che non è orientato verso un progresso, ma semplicemente verso un’evoluzione. L’idealismo britannico, in particolare la figura di Ritchie, si rese conto dello iato teoretico ed esistenziale che la teoria della selezione naturale stava portando e cercò quindi di intervenire su questo punto. Il filosofo scozzese partì proprio dalla critica delle teorie di Darwin e della loro applicazione alla società grazie a Spencer per sviluppare la sua filosofia pratica e una visione razionalistica della storia.

 

20 giugno 2022

 








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