Sul senso della filosofia

 

Che cos'è la filosofia e, dunque, il progetto «Gazzetta filosofica»?

 

 

Perché demmo vita al progetto «Gazzetta filosofica»?

 

Per colmare un vuoto, per reazione e risposta a un’esigenza, a un’urgenza: chiarire – anche a noi stessi – e divulgare il senso della filosofia. La sua rilevanza, imprescindibile.

 

Si potrebbe ritenere un’esigenza peculiare a coloro che dalla filosofia sono attratti e affascinati, che non si capacitano del tiepido interesse degli altri, o della loro indifferenza – perfino del disprezzo che a essa si rivolge.

 

Tuttavia ciò che appare come una scelta e un’opzione, si rileva – nel tentativo di chiarificazione – come elemento fondamentale di ogni vita, anche del suo peggior detrattore.

Anche per coloro i quali disprezzano la filosofia e ritengono di non aver nulla a che fare con essa, anche per essi la filosofia determinerà il valore della loro vita.

 

Non valorizzare, trascurare una caratteristica fondamentale della vita significa svalorizzare e trascurare la vita stessa.

Prodigarsi per mostrare il valore della filosofia significa prodigarsi per la valorizzazione di tutte le vite.

 

Il risultato dell’impegno inesauribile della valorizzazione della filosofia può accennarsi richiamandosi al passato remoto e al passato prossimo della sua storia, nonché alla sua logica costitutiva, che è la logica costitutiva della vita.

 

Essendo tale logica filosofica costitutiva della vita, la filosofia era fondamentale già prima che avesse una storia e un nome.

La filosofia ha dunque un inizio e una storia da quanto si ha testimonianza dell’esplicitazione e della tematizzazione di quell’elemento fondamentale della vita che da sempre – ben prima che la filosofia avesse una storia – ne determinava il valore.

Tale elemento può essere formulato come segue.

 

La conoscenza di qualcosa implica la conoscenza del tutto di cui è parte.

Oppure, formulato con un linguaggio più specifico, esso suona così: la conoscenza di un essente implica la conoscenza della totalità degli essenti.

Questo perché ogni essente è le sue relazioni – le sue interazioni – con tutti gli altri.

 

Ciò vale evidentemente anche prima che lo si pensasse, lo si dicesse, lo si scrivesse.

Ciò significa che. di qualsiasi cosa ci si voglia occupare nella vita. non si può trascurare l’insieme di cui quella cosa fa parte, poiché significherebbe trascurare la cosa stessa.

Certamente non possiamo affrontare la conoscenza della totalità tutt’assieme, ma, ciò nondimeno, lo scopo implicito – implicato logicamente – del prendersi cura di una parte è il prendersi cura della totalità.

 

Per questo Talete è indicato come il primo filosofo della storia, perché avrebbe affermato che il principio di tutte le cose è l’acqua. Così facendo egli esplicita o è prossimo a esplicitare che ciascun essente ha la sua comprensione in quanto parte della totalità, segnatamente in quanto ha un elemento in comune con tutte le altre: l’acqua.

 

Questo modo in cui Talete si rivolgere alla totalità è peculiare, proprio perché asserisce che tutti gli essenti hanno qualcosa comune, un elemento in grazia di cui essi sono. (Tale elemento verrà successivamente chiamato universale).

 

Il rivolgersi alla totalità e l’affermazione dell’universale non coincidono, poiché ci si può rivolgere alla totalità e trovarsi a concludere che non esistano caratteristiche comuni a ogni essente.

Per questo l’indagine filosofica è stata inevitabilmente un’indagine anche ontologica e metafisica, perché rivolgersi alla totalità implica il confrontarsi con l’esistenza o meno di universali e come essi eventualmente si rapportino a ogni essente particolare.

 

La necessità della filosofia possiamo dunque asserirla con la logica, con la sua storia delle origini, ma anche con la sua storia più prossima o con il presente.

Qui basterà osservare qualsiasi scienziato che ritenendo di dedicarsi a una parte specifica – proprio per essere scientifico specializzandosi – si è trovato a dover estendere la sua indagine oltre quella parte – e proprio per comprenderla meglio, cioè per essere più scientifico.

 

Prendiamo un nome celebre: Antonio Damasio, neurologo. Nel 1994 esce la prima edizione di L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano. Nel 2017 pubblica Lo strano ordine delle cose. La vita, i sentimenti e la creazione della cultura.

Per capire il funzionamento del cervello e il ruolo che le emozioni giocano nella formazione della mente ha dovuto allargare lo spettro delle relazioni considerate inizialmente: si è trovato a indagare tutto ciò che ha a che fare o non ha a che fare con le emozioni e la mente, e in che misura: distinguendo, comparando, ecc. Ecco cosa implica lo studio delle aree del cervello, come recita la quarta di copertina.

 

« Come si spiega lo sviluppo di pratiche, strumenti e idee quali le arti, l'indagine filosofica, le regole morali e le fedi religiose, la giustizia, i sistemi di governo, l'economia, la tecnologia e la scienza? »

 

Uno scienziato, un neurologo in questo caso, quanto più vuole essere tale, tanto più deve estendere la considerazione della parte da cui comincia con le altre parti con cui è intrecciata, con essa interdipendenti – deve farsi filosofo.

 

Prendiamo Richard Wrangham, antropologo. Nella Prefazione al suo splendido saggio del 2019, Il paradosso della bontà. La strana relazione tra convivenza e violenza nell’evoluzione umana, racconta quanto segue.

 

 « Se cinquant’anni fa, quando ero agli inizi della carriera, mi avessero detto che un giorno avrei pubblicato un libro sul genere umano, non ci avrei creduto. Negli anni Settanta, da studente, ebbi il privilegio di collaborare al progetto di ricerca sugli scimpanzé che Jane Goodall stava conducendo in Tanzania. Passavo intere giornate a seguire le tracce di singole scimmie nel loro habitat naturale, e non potevo essere più contento. Studiare il comportamento animale era quello che volevo, tanto che nel 1987 avviai uno studio tutto mio sugli scimpanzé selvatici nel parco nazionale di Kibale, in Uganda. »

 

Quindi, per comprendere gli scimpanzé si è trovato a dover comprendere gli aspetti simili e differenti in altre specie, fino all’essere umano – e dover indagare l’essere umano nella sua complessità. Questi i titoli di alcuni capitoli: Virtù e violenza nell’evoluzione umana; Il problema dei tiranni; Pena capitale; L’evoluzione dei concetti di giusto e di sbagliato; Guerra.

Anche qui lo scienziato, per essere tale, si è fatto filosofo.

 

Ma l’estensione continua, inevitabilmente. Leggiamo cosa ha appena pubblicato un altro neuroscienziato, Giorgio Vallortigara, con la sua raccolta di saggi brevi A spasso con il cane luna (2025).

 

« La vasta raccolta di stimoli scatenanti e superstimoli accumulata negli anni dagli etologi costituisce la prova incontrovertibile che gli animali non percepiscono le cose quali esse sono. […]

C’è chi ha condotto l’interpretazione di queste osservazioni alle sue estreme conseguenze. Lo scienziato cognitivo Donald Hoffman, ad esempio, sostiene che le nostre percezioni siano delle interfacce specie-specifiche a uso dell’utente, che dirigono il comportamento per la sopravvivenza e la riproduzione, ma non per la ricerca della verità. Impiegando algoritmi genetici, Hoffman ha mostrato che creature dedite alla ricerca della mera fitness biologica se la cavano molto meglio di quelle impegnate nella ricerca della verità. »

 

Per comprendere come funzioni la natura animale dobbiamo comprendere come essa si rapporti con la realtà, con la verità.

Certo, ci si può fermare prima, si può rimanere in un laboratorio, si può limitare la propria attività, si possono circoscrivere le proprio pretese – tuttavia, tutte quelle categorie filosofiche, che riguardano la parte ma si estendono alla totalità, saranno implicate. Quindi ignorarle, darle per presupposte o evitarle non restituisce la scientificità: al contrario. Così, quanto più si sarà scienziati, tanto più si sarà filosofi.

 

Ciò vale ovviamente per qualsiasi scienza, anche per la fisica per esempio. La lista delle pubblicazioni recenti sarebbe interminabile: da La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose (2014) di Rovelli a Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura (2022) di Faggin.

Per chi ritenesse di vedere in questo la crisi della filosofia, poiché tali saggi oggigiorno sono scritti da scienziati, non potrebbe sbagliarsi di più. Perché è sempre stato così. Da Anassimandro, Platone, Aristotele a Galileo, Cartesio, Newton: scienziati che erano filosofi; ovvero: filosofi che erano scienziati.

Si passa alla storia sotto il nome di scienziato o filosofo a seconda che il contributo maggiore sia dato per la scoperta in una parte specifica o tra relazioni di parti: quanto più il contributo originale riguarderà gli aspetti generali o universali della realtà, tanto più si sarà filosofi.

 

Lo stesso si dica per la formazione di scienziati e filosofi. Si può iniziare a studiare delle parti o si può iniziare direttamente dalle categorie più generali, dai nessi più generali tra le parti: così fa chi ha una formazione filosofica. Questa è la sua peculiarità.

 

Ed è per questo che chi abbia una formazione filosofica ha a che fare con categorie più generali, trasversali a più settori specifici, e che, come abbiamo detto all’inizio, bisogna valutare nella loro eventuale universalità.

 

Ritorniamo così alla finalità di «Gazzetta filosofica», esplicitata nel suo motto: dentro i fatti la teoria. Esso significa ciò che siamo venuti dicendo fin qui: implicato in ogni parte, ossia in ogni fatto particolare, è contenuta implicitamente una visione complessiva sul mondo, ossia una teoria più ampia in cui è incluso. E significa quindi che quanto più vogliamo capire la parte, tanto più dobbiamo andare oltre a essa, rivolgendoci alle altre parti, al generale, all’universale.

 

Sì che – lo abbiamo visto – se vogliamo occuparci dello scimpanzé finiamo a interfacciarci con la giustizia (e le categorie a essa più prossime: bene, diritti, ecc.); se vogliamo occuparci degli elettroni dobbiamo fare i conti con la causalità e il determinismo (e le categorie a essi più prossime: libertà, libero arbitrio, ecc.); se vogliamo occuparci di questo o di quel fatto oggettivo, non possiamo che confrontarci con cosa eventualmente distingua l’oggettività fattuale dalla soggettività (e le categorie a esse più prossime: realtà, illusione, verità, ecc.).

 

In ogni istante della nostra vita c’è dentro tutto, c’è sempre dentro tutta la filosofia, anche qualora la disprezzassimo e ritenessimo non ci riguardi.

 

Ecco il vuoto da colmare, la reazione e la risposta a un’esigenza, a un’urgenza fondamentali: qualsiasi cosa ti stia a cuore, per prendertene cura, non potrai che fare i conti con l’insieme delle relazioni che la plasma, non potrai che fare i conti con l’universo categoriale che l’abbraccia, non potrai che scoprirti nel cammino della filosofia, nel respiro meraviglioso e terribile della totalità.

 

10 maggio 2025

 








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