Origine e validità

 

Una delle conseguenze filosofiche del darwinismo è la pretesa di poter spiegare il superiore per mezzo dell’inferiore, l’uomo per mezzo del babbuino, associando la mera analisi cronologica del passato con l’indagine del significato di un determinato individuo. Sotto questo punto di vista origine e validità non assumono significati separati, ma hanno lo stesso portato sul piano filosofico. 

 

 

« Compito del filosofo evoluzionista diventava quello di prendere atto dell’origine di facoltà, codici di comportamento, istituzioni, credi ecc. mostratagli dalla biologia, dalla storia naturale e dalla storiografia, per giustificarne logicamente il senso e il valore ideale. […] È questo il grande contributo dell’evoluzionismo: il progetto genealogico. Ma sicuramente non basta, e troppo spesso l’evoluzionista corre il rischio di confondere origine e valore, lo stato di cose attuale o le sue cause con ciò che dovrebbe essere, il fatto con il diritto, l’efficienza con la finalità. » (A. Lombardi, David George Ritchie. Un darwinista hegeliano nell’Inghilterra vittoriana)

 

Per il filosofo scozzese David George Ritchie le conseguenze del progetto genealogico darwinista si possono riscontrare nella società quando si chiede ad una persona chi è e per rispondere essa fa la lista dei suoi antenati. Tale tipo di meccanismo è più marcato in ambito nobiliare, soprattutto a fine Ottocento e inizi Novecento: avere un certo tipo di antenati corrispondeva ad avere anche un certo valore sociale. 

 

« Il rispetto popolare per l’albero genealogico ha portato in larga misura alla confusione sull’origine e il valore. » (D.G. Ritchie, Origin and validity)

 

Contro questo tipo di sentire popolare, Ritchie porta alcuni argomenti che possono essere riassunti come di seguito. (1) Non è detto che ciò che ha reso grande un antenato nel passato sia qualcosa di desiderabile per l’interesse sociale attuale; (2) se il trisavolo era davvero un grand'uomo, il nipote attuale ha ereditato solo un sedicesimo dei suoi caratteri; (3) non i soli caratteri ereditati determinano un individuo, ma interviene anche l’ambiente in cui vive: se egli vive in un ambiente in cui viene sempre adulato, per via dei suoi antenati, non è soggetto alle condizioni più favorevoli per potersi migliorare come persona.

 

Le conseguenze del darwinismo sono mal viste da quelli che Ritchie chiama “cattivi metafisici”, come ad esempio alcuni religiosi, i quali identificano il punto di massima grandezza dell’uomo con la sua origine. Secondo queste religioni, l’origine è il momento in cui si poteva godere dei diritti naturali, che poi con la degenerazione dell’uomo sono andati scomparendo, è il momento in cui Dio ha impiantato nell’uomo le idee innate, è il luogo dove ricercare il valore delle idee morali. Il darwinismo, per loro, porterebbe al misconoscimento del valore di tutto ciò in cui credono: la religione, ad esempio, verrebbe rivista alla luce di pratiche ancestrali e derivata da quelle; lo stesso potrebbe accadere con il matrimonio, facendolo risalire a pratiche primitive.

 

« Una delle maggiori caratteristiche della fase di pensiero “metafisica” è la sua ansia di giustificare il valore della moralità e di altre idee risalendo ad esse nella loro origine, che viene vista grande e dignitosa in sé, come se la grandezza e la dignità derivassero dalla chiarezza della ragione o dall’oscurità del mistero. » (Ivi)

 

Ritchie sostiene che è legittimo usare le armi del metodo scientifico e della teoria dell’evoluzione per stanare questo tipo di ragionamento metafisico, ma è necessario stare bene attenti a preservare il discorso filosofico da alcune conseguenze che la teoria dell’evoluzione potrebbe provocare. La teoria dell’evoluzione, facendo vedere che le idee morali e logiche hanno una storia nella mente dell’individuo, non provoca nessun effetto negativo su tali idee, come vorrebbe la metafisica sopra richiamata. Per Ritchie è però importante sottolineare che non ci si può limitare alla storia naturale per conoscere il Reale, è invece necessario impegnarsi in un lavoro autenticamente filosofico e metafisico che non punti a conoscere le cose per come sono state, ma a capire che cosa esse siano. Questo tipo di tentativo non può prescindere da un’analisi circa la pretesa di validità della conoscenza. 

 

Per poter affermare la differenza tra origine e validità, Ritchie è costretto a rifarsi al valore metafisico ed epistemologico del Reale, al fine di far poggiare su basi solide il rapporto tra la storia di una cosa e il suo significato. Questo tipo di procedimento è classico del metodo idealista: ogni spiegazione deve rifarsi all’intero ed essere inserita dialetticamente nel rapporto delle parti. 

 

« Il compito della conoscenza è di verificare la vera natura delle cose, la quale non può essere trovata cercando la loro origine. La domanda sulla validità è la domanda ultima. » (R. Latta, Memoir)

 

Per continuare la nostra analisi del rapporto tra origine e validità è necessario interrogarsi sul concetto di “causa”, il quale è presupposto ogni qual volta si crei una connessione tra eventi naturali, ma che se applicato in ambito logico può provocare delle ambiguità. Un conto è chiedersi come si è arrivati a credere in una determinata cosa, quali siano le cause psicologiche che hanno provocato quella conoscenza, un altro è domandarsi per quale motivo si è giustificati a credere che quella cosa sia vera. Nel primo caso si è di fronte ad una domanda sull’origine, che agisce quindi su un piano temporale e psicologico; nel secondo la domanda solca il piano logico, parla della validità dell’affermazione, delle sue condizioni di possibilità: non si è di fronte al modo particolare con cui un determinato numero di persone è arrivato a sostenere una certa affermazione, ma al cospetto della validità logica che va al di là del singolo individuo.

 

« Il logico in quanto tale ha sempre a che fare con la seguente domanda: “Siamo giustificati ad affermare ciò?” ‒ non con il processo psicologico attraverso il quale ogni persona particolare arriva a pensare ciò che pensa. D’altro canto, l’introspezione psicologica non può mai risolvere difficoltà logiche. » (Ivi)

 

Secondo Lombardi, il fatto che l’evoluzionismo porti a identificare il valore di una cosa con la sua origine è dovuto «alla fallacia consistente nell’omissione di quanto, nell’effetto, è coessenziale alla causa che lo produce». (A. Lombardi, David George Ritchie. Un darwinista hegeliano nell’Inghilterra vittoriana) L’evoluzionismo avrebbe il problema di concepire la causa dell’evoluzione in modo astratto, ossia non comprendendola in rapporto al fine verso cui è proiettata. L’effetto dice qualcosa in più sulla causa, ma la causa non dice nulla sull’effetto, in quanto la natura non è in vista di un fine: è proprio questo l’errore della teoria di Darwin, ossia la mancata possibilità di inserire nella spiegazione ultima di una cosa il fine verso cui essa si dirige. 

 

Così come la logica ha a che fare con delle regole e con degli ideali, allo stesso modo è possibile analizzare il rapporto tra origine e validità in altre discipline filosofiche che hanno a che fare con degli ideali. Tra queste discipline troviamo l’estetica, che va alla ricerca del bello nell’arte, e la filosofia pratica (etica e politica su tutte) che cerca il bene nella condotta nell’uomo. Avendo a che fare con un sé che non è mai realizzato del tutto, l’uomo si pone degli ideali per potersi avvicinare sempre più alla sua realizzazione. Questi ideali sono però minati, secondo Ritchie, da quella che lui chiama “filosofia della disperazione”, che proviene dalla constatazione darwiniana che l’uomo è un’animale come tutti gli altri e dalla presa di coscienza che la natura è maligna. Invece Ritchie sottolinea che l’ideale permette di vedere il male presente in natura alla luce di un processo di realizzazione dell’autocoscienza eterna. Le basi metafisiche di Ritchie gli permettono di rileggere il darwinismo alla luce di un ideale che si approssima alla realizzazione e non come la costatazione di una lotta che renderebbe ogni azione dell’uomo vana.

 

« Ponendosi dalla parte dell’origine la lotta sembra essere vana, ma non possiamo dirlo veramente, in quanto abbiamo in noi uno standard ideale attraverso il quale giudichiamo. Possiamo sapere che una cosa è storta solo se abbiamo un ideale del dritto; possiamo sapere che il mondo è malvagio solo se abbiamo in noi un ideale del bene assoluto. Sappiamo di essere ignoranti, perché abbiamo un ideale di conoscenza perfetta. » (D.G. Ritchie, Origin and validity)

 

Estetica ed etica hanno sempre a che fare con un ideale a cui rifarsi, con cui giudicare il bello e il bene: a partire da ciò, la validità di una cosa, in questo caso la bellezza e la bontà, non dipenderà dalle cause che l’hanno portata ad essere tale, ossia dalla sua origine, ma dall’ideale in vista del quale è proiettata. Questo tipo di ragionamento è ancora più chiaro nell’ambito politico, soprattutto quando si parla di diritti naturali: essi vengono identificati come qualcosa di presente nell’uomo dalla sua origine e grazie ai quali all’uomo deve essere conferito un certo tipo di trattamento. Qui è possibile vedere che l’uomo acquisisce valore e validità non in virtù della bontà di una caratteristica che possiede, ma grazie all’origine dal quale proviene. Con il propagarsi della teoria dell’evoluzione non si va alla ricerca del valore che è insito nell’individuo, ma si guarda alla sua origine biologica e quindi si giudica il suo operato inserendolo nella lotta per l’esistenza. 

 

« Le teorie che applicano le concezioni di organismo ed evoluzione alla società come se fossero pertinenti tanto in politica quanto in biologia, mentre potrebbero dare un resoconto corretto delle origini della società, ci lascerebbero senza un criterio per giudicare la bontà o la malvagità di alcun sistema sociale. L’unico criterio logicamente disponibile sarebbe il successo ultimo di ogni società data nella lotta per l’esistenza. » (Ivi)

 

18 luglio 2022

 








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