Lì, dove fa più freddo

 

Il Natale arriva nel tempo e nel posto giusto. Non dove lo aspettiamo comodamente, ma dove preferiamo non guardare.

 

di Simone Basso

 

C. Monet, "Treno nella neve" (1875)
C. Monet, "Treno nella neve" (1875)

 

Camminando sul marciapiede poco frequentato nella periferia della vasta area metropolitana di Milano, subito dopo un piccolo cavalcavia che oltrepassava i binari ferroviari, mi è capitato di vedere nell’erba a lato della strada alcuni piccoli “bambolotti”. Una strada grigia come tante, fuori mano e lontana dalle vie del centro utili per le passeggiate domenicali delle famiglie; distante dalle attrazioni e dalle luci della città, isolata da tutto, tranne che dal flusso incessante delle macchine. Ben disposti l’uno vicino all’altro, a semicerchio, rivolti contemporaneamente sia al traffico delle auto da una parte, che a quello dei treni dall’altra, guardavano la città scorrere, sfrecciare frettolosamente di qua e di là. Non me ne accorsi subito ma a ben guardare stavano in attesa, qualcuno sembrava dover nascere: era un presepe. Poveri loro, e povero lui, futuro nascituro, verrebbe da dire, eppure quel presepe si trovava proprio al posto giusto. L’erba umida e il freddo della mattina facevano rabbrividire al solo guardarli. A quell’altezza non restava molto altro da respirare che non fosse lo smog dei tubi di scappamento, che scattosi, frenetici ed arroganti sfrecciano di continuo ad ogni ora del giorno. A questo frastuono si aggiungeva poi il fischio assordante della locomotiva e il tremore della terra al passaggio dei treni, che portano e riportano, dentro e fuori dalla città, vagoni carichi di persone e di merci, ahimè ugualmente stipate. 

 

Sono migliaia i presepi che ogni anno ci accompagnano nel periodo dell’avvento, ed è grande ciò che ognuno di essi si prepara a far nascere. Molti si trovano vicino al caminetto, al riparo, all’asciutto e nel tepore delle case; qui le famiglie si preparano ad accogliere il nuovo arrivato. È davvero questo il tempo migliore per il suo arrivo? In questo periodo dell’anno? E proprio sul ciglio della strada quel presepe doveva stare? Siamo sicuri sia un buon luogo in cui aspettare la nuova nascita? Non ce ne sarebbe uno più adatto?

 

Procedendo con ordine, vediamo dunque il perché di questo tempo…

 

Alcuni storici ipotizzano che storicamente la nascita di Gesù sia avvenuta nel mese di settembre, e che solo intorno al 336, i Romani concordarono di fissare il Natale nel giorno in cui ancora oggi lo festeggiamo. Si stabilì questa data per sostituire la già presente festività del Deus sol invictus. Fu dunque scelto di festeggiare la nuova nascita in un giorno di dicembre nel cuore della stagione fredda. Per questa ragione, accompagnata al Natale, è giunta a noi l’immagine simbolica del paesaggio imbiancato dalla fredda ma candida neve. Natale non arriva quando, tranquilli, riposiamo all’ombra in una calda giornata di sole, o passeggiamo beati all’aria aperta nel corso di una mite primavera. Natale arriva nel periodo dell’anno in cui la luce è fioca e il buio arriva presto; nei giorni in cui ci chiudiamo in casa al riparo dalle intemperie perché, intorpiditi dal freddo, è più difficile uscire; Natale arriva quando l’inverno ha più forza. Quando la vita presenta le difficoltà più grandi e quando ad ognuno è richiesto di chiamare a sé le ultime energie rimaste, deboli e assopite, in quell’ora la nuova speranza, per quanto piccola, appare più luminosa.  È quello il tempo in cui la nuova nascita porta più calore. Perché proprio lì, quando fa più freddo, il presepe riscalda maggiormente.

 

Gherardo delle Notti, "Adorazione dei pastori" (1622)
Gherardo delle Notti, "Adorazione dei pastori" (1622)

 

E quale invece il posto più giusto? 

 

Forse, proprio perché in un posto poco “adatto", l'angolino a lato della carreggiata sembra essere un'ottima scelta. Tanto in un presepe a bordo strada, quanto in una capanna fuori Betlemme sulla via per Gerusalemme, il Natale arriva anche nei luoghi di transito. Dove i tanti passano, senza stare. Dove i più guardano senza vedere. Nelle intersezioni, solo apparentemente abbandonate, tra un’autostrada e dei binari. Il Natale arriva ai margini, e li riporta al centro. Con forza arriva negli spazi nascosti per riporli in piena vista. In quelli che forse, riprendendo e rielaborando l’espressione di Augé, possiamo definire come nonluoghi. Negli angoli sporchi e maleodoranti delle città febbricitanti. Ma anche in quei nonluoghi dove le persone sono presenti coi loro corpi, ma assenti col loro spirito, assorte in una corsa senza meta. In un mondo che, nel tentativo di essere “globale”, cerca imperterrito di conquistare nuovi spazi in cui costruire e commerciare, ma che non si rende conto di mancare ancora, lì dove passa ogni giorno, lì dove sembra più affollato.

 

« Un mondo in cui si nasce in clinica e si muore in ospedale, in cui moltiplicano, con modalità lussuose o inumane, i punti di transito e le occupazioni provvisorie (…), in cui si sviluppa una fitta rete di mezzi di trasporto che sono anche spazi abitati, in cui i grandi magazzini, distributori automatici e carte di credito, riannodano i gesti di un commercio “muto”, un mondo promesso alla individualità solitaria, al passaggio, al provvisorio e all’effimero… » (Marc Augé, Nonluoghi, un’introduzione all’antropologia della surmodernità, 1992)

 

 

I nonluoghi sono gli spazi a cui abbiamo accesso ogni giorno ma che ogni giorno decidiamo di trascurare. Non sono i posti in cui dobbiamo ancora arrivare fisicamente, ma quelli che pur attraversando quotidianamente, lasciamo abbandonati. I nonluoghi non sono solo spazi fisici. Sono le nostre mancanze, le mortificazioni dello spirito, le parole non dette. Sono i tragici momenti della nostra vita nei quali pur avendo vissuto, non abbiamo amato. I nonluoghi sono quei posti dove la nostra necessaria presenza è ancora mancata,  sono lì dove non siamo stati ma in cui abbiamo il dovere di recarci. I nonluoghi sono come i campi non coltivati, i quali, nello splendore della stagione calda, rimangono vuoti senza raccolto perché in essi si è scelto di non seminare.

 

Ecco dunque, nel profondo di questi nonluoghi e nel tempo in cui il freddo e il gelo paiono sopraffare, con l’arrivo del Natale rinascono tante piccole nuove speranze che, sotto strati di neve, come germogli nascosti ma fecondi, si preparano a fiorire in una nuova primavera. 

 

21 dicembre 2018

 








  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica