Averroè: il ruolo di religione e filosofia, lo Stato perfetto

 

Averroè ha rappresentato un punto di rinascita della filosofia. Suo il merito di aver cercato di legalizzare la filosofia agli occhi degli ultraconservatori giuristi ashariti. Tuttavia alcuni nodi del suo pensiero risultano ancora oggi difficili da sciogliere.

 

Monumento di Averroè, Cordova
Monumento di Averroè, Cordova

 

Se dovessimo ringraziare qualcuno per la, speriamo ancora duratura, sopravvivenza della filosofia come disciplina di studi (che influenzi, aggiungo, una pratica di vita coerente), dovremmo rendere omaggio a due personaggi provenienti da situazioni storico-geografiche differenti: Severino Boezio ed Averroè.

Con Agostino, quello dei pensieri più maturi (rimando a quest'altro mio articolo, abbastanza dettagliato sulla questione) la filosofia è ridimensionata nella sua portata e perde il suo ruolo di stile di vita che può condurre alla felicità. Ciò che determina la salvezza dell'uomo è la grazia, che è imperscrutabile e non è vincolabile ad azioni umane; ed è ovvio che senza salvezza non vi sia felicità.

 

Severino Boezio
Severino Boezio

La filosofia così inizia a scomparire dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente: la circolazione dei testi filosofici diventa quasi inesistente. 

Un caso eccezionale è quello di Boezio, che si propone il difficile compito di recuperare e rendere accessibili in latino tutti i testi scientifico-filosofici greci. Questi costituiranno la vera e propria biblioteca filosofica latina disponibile per tutto l'occidente medievale.

Con la morte di Boezio e la chiusura di tutte le scuole filosofiche ad Atene da parte di Giustiniano, la situazione declina ad oriente.

Il patrimonio filosofico, ormai rinnegato dai latini, viene assorbito nell'oriente arabo, per volontà dei califfi.

Qui però, nonostante varie personalità filosofiche come Al-Farabi, Avicenna, Avicebron, lo stesso Averroè, non sono mancate forme di "sospetto" nei confronti della filosofia: in particolare nei confronti dell'aristotelismo, visto come un pericolo in possibile contrasto con il Corano.

 

IL LEGAME TRA FILOSOFIA E RELIGIONE

 

Al-Ghazali
Al-Ghazali

Una delle critiche più conosciute è stata quella del teologo asharita Al-Ghazali, ritenuto uno dei più importanti pensatori musulmani dell'età d'oro araba, nello scritto L'incoerenza dei filosofi.

Risponderà a questo scritto Ibn Rushd, meglio conosciuto nel mondo latino come Averroè, giurista, medico, commentatore aristotelico, uomo di corte del califfato di Yaqub Yusuf, con L'incoerenza dell'incoerenza dei filosofi, seguendo passo per passo le critiche di Al-Ghazali e mostrando la loro inconsistenza di fondo. In questo scritto Averroè mostra che la teologia senza filosofia è infondata e può anzi, come vedremo più avanti, condurre all'incredulità nei confronti delle verità rivelate.

Ma Averroè non si ferma qui. Con il Trattato decisivo sulla connessione della religione con la filosofia (l'originale arabo è Kitab fasl al-maqal wa-taqrir ma bayna al-shari'ah wal al-hikman min al-ittisal) tenterà di legittimare la filosofia ai danni della teologia.

 

Averroè è infatti consapevole della possibilità che filosofia e rivelazione potessero essere in contrasto, ma la formulazione che fornisce riesce a salvare la "dignità" (nel senso positivo del termine) della rivelazione coranica, pur riconoscendo alla filosofia il ruolo gnoseologico primario.

Quando una proposizione scientifico-filosofica sembra contraddire un passo del Corano, in realtà non vi è una reale contraddizione. È semplicemente necessaria una interpretazione allegorica affinché vi sia corrispondenza tra questi due differenti modi della verità (ciò si presenta in modo differente dall'etichetta che Averroè a lungo ha avuto di sostenitore di una doppia verità).

Tommaso D'Aquino, nella Somma contro i Gentili, opterà per la soluzione inversa: quando rivelazione e una proposizione scientifico-filosofica sono in contrasto, è la seconda a doversi "piegare", perché essa è parte di un ragionamento non apodittico (e quindi certo), ma solo dialettico (e quindi probabile), o addirittura, in certi casi, di un vero e proprio sofisma, ovvero uno stratagemma retorico atto a dimostrare come vero ciò che si rivela essere in realtà falso.

 

Ora, come abbiamo detto, filosofia e religione per Averroè non possono non sostenersi vicendevolmente, perché «la speculazione dimostrativa non può condurre a conclusioni diverse da quelle rivelate dalla religione, poiché il Vero non può contrastare col Vero, ma anzi gli conforma e gli porta testimonianza» (Averroè, Il trattato decisivo sulla connessione della religione con la filosofia).

Se è vero che il filosofo deve prestare, così come tutti, assenso al testo coranico, è anche vero che egli può speculare sul senso profondo della vita oltremondana o sugli attributi e nel modo in cui essi si riferiscano all'essere divino.

Il teologo è addirittura messo fuori dalle discussioni che noi oggi chiameremmo "teologiche", perché ancora legati a opinioni e scontri dialettici e sprovvisto delle capacità "razionali" necessarie.

Questa tesi conferiva al filosofo uno spettro di studi e d'azione molto ampio. Ed effettivamente dal califfato almohade Averroè aveva il sostegno necessario per la libera ricerca filosofica.

 

LA POLITICA

 

Moneta del periodo di califfato almohade
Moneta del periodo di califfato almohade

Oltre agli elogi per l'apertura mentale giunta con il califfato almohade, non sono mancate critiche, sia pur celate, di Averroè al califfato stesso, forse spinto dal desiderio di attuare un progetto politico degno della Repubblica platoniana.

Per comprendere tale situazione bisogna sottolineare la fondamentale correlazione che vi è tra teoresi e politica: 

 

« Averroè considerava una profonda trasformazione politica come l'unico modo per fronteggiare i molteplici problemi del suo tempo. La critica alle pratiche religiose esistenti, l'approvazione delle lungimiranti raccomandazioni di Platone, i rilievi sullo stretto legame tra la legge umana, il nomos, e la legge divina – tutto indica che la nuova realtà politica che Averroè mirava a realizzare non era del tutto consonante con l'opinione dominante del tempo e del luogo, per sottacere la consonanza con la stesse Legge religiosa » (Butterworth, Philosophy, Ethics, and Virtuous Rule. A Study of Averroes' Commentary of Plato's «Republic»).

 

Come già detto Averroè, così come fece in modo invano Platone, cercò di farsi promotore della realizzazione di un disegno politico, formulato commentando la Repubblica, e invitando i califfi a realizzarlo. Addirittura, nello stesso commento, Averroè non si nasconde nel sottolineare la somiglianza tra la tirannia timocratica descritta da Platone e il califfato almohade.

Queste critiche, insieme a intrighi di corte e a pregiudizi sulle sue attività filosofiche, hanno contribuito all'esilio di Averroè – esilio che durerà comunque molto poco, probabilmente meno di dieci anni.

 

E qual è, nel contesto politico averroeano, il ruolo del filosofo nella "città perfetta"?

Riprendendo un concetto caro alla Repubblica, città "giusta" e "perfetta" è quella in cui, utilizzando l'analogia platoniana, ogni parte esegue la sua funzione, come un organo nel corpo umano.

Non a caso scrive Francesco Adorno: 

 

« Per Platone non si tratta di porre al potere un gruppo, un partito, un singolo, ma "i filosofi", che rappresentano la "razionalità", cioè nessuno in modo particolare o privato, ma tutti, in quanto capacità di essere ciascuno sé in rapporto all’altro » (Adorno, Introduzione a Platone).

 

In Averroè, restando vicini alla Repubblica, il volgo si comporta in maniera simile a colui che, nel mito della caverna, resta incatenato e non può che vedere le sole ombre sul fondo, ovvero le immagini sensibili.

Ecco perché, anche per quanto riguarda la vita dopo la morte, l'uomo della massa deve essere "persuaso" con immagini ancora sensibili: giardini rigogliosi, belle fanciulle, fiumi di latte. Il filosofo non può essere soddisfatto di un racconto siffatto. 

Da qui la necessaria incomunicabilità, che Averroè attribuisce a Platone ed eredita, sul piano educativo tra l'élite filosofica e la massa: 

 

« Per insegnare alle masse la saggezza, Platone usa metodi poetici e retorici. Anche qui si presentano alle masse due vie di approccio alla conoscenza: o esse la conoscono per via dimostrativa o non la conoscono affatto. Ma la prima via è impossibile, la seconda è ben possibile; nondimeno ogni uomo è in grado di attingere la perfezione proporzionalmente alla sua natura e in accordo con la sua preparazione (ad essa) » (Averroè, Commentario alla Repubblica di Platone).

 

Un contatto tra queste due diversità sociali potrebbe addirittura avere delle conseguenze sull'ordine politico-sociale nefaste: l'uomo della massa potrebbe non essere in grado di comprendere tali verità ed essere dunque assalito dal dubbio e dalla miscredenza, generando violenti risse: 

 

« È per effetto delle interpretazioni, in specie quelle erronee, e dell'opinione che sarebbe necessario propalarne le applicazioni alla Legge religiosa presso le masse, che sono sorte le sette islamiche, l'una accusate l'altra di miscredenza o di innovazione biasimevole » (Averroè, Il trattato decisivo sulla connessione della religione con la filosofia). 

 

L'isolamento della sapienza, sempre se è consentito dire ciò, mi ricorda un esempio di qualche secolo più recente: i cittadini dell'utopica "casa di Salomone", regno dello sviluppo scientifico e della conoscenza, nell'opera incompiuta di Francis Bacon, la Nuova Atlantide

 

« Riflettendo dunque a quanto floride e felici fossero le condizioni di questo paese e stimando che esse potessero sì in mille modi peggiorare, ma a stento migliorare in qualche modo, egli era dell'avviso che fosse necessario, in vista dei suoi nobili ed eroici fini, limitarsi a perpetuare le felici condizioni della nostra vita di allora. In quel  tempo [...] egli, timoroso di ogni novità e volendo evitare la corruzione dei nostri costumi, stabilì, fra le altre leggi fondamentali del suo governo, la proibizione di far entrare stranieri nel nostro territorio » (Francis Bacon, La Nuova Atlantide).

 

Il Corano
Il Corano

Verrebbe allora da chiedersi cos'è realmente la religione per Averroè: uno strumento per tenere a bada le masse, "l'oppio dei popoli" come dirà Marx audacemente molto più in là nei secoli?

Diventa difficile distinguere le vere intenzioni di Averroè dalle manovre teoretiche strategicamente giocate per non risultare "eretico". In fin dei conti, Averroè è sempre stato, dal 1168 in poi, un membro elitario della corte del califfo, ben inserito nella società, oltre ad essere un musulmano esemplare. 

Nell'Incoerenza dell'incoerenza scriverà che «i filosofi credono che le religioni siano costruzioni necessarie della civiltà», nascondendo bene questa frase all'interno di un discorso che non sembra minare il ruolo fondamentale della religione. La frase resta tuttavia incisiva e muove in noi necessarie riflessioni: dovremmo includere anche Averroè tra i filosofi in questione? (Averroè, quando parla genericamente nel libro di "filosofi", ovvero coloro che sono attaccati da Al-Ghazali, sembra quasi sempre condividere la loro posizione ed essere dalla loro parte) Oppure si sta solo riferendo ai filosofi della tradizione greca, magari nascondendosi dietro di loro?

Come consiglia Campanini, singolare è che proprio nella continuazione del passo, nonostante ciò che abbiamo detto sinora, Averroè sostenga che «l'élite si perfeziona e raggiunge la sua piena felicità in relazione alle masse».

Leaman cerca di risolvere la questione così, ritenendo che il fine di Averroè sia fare in modo che ogni cittadino possa vivere in maniera virtuosa:

 

« Averroè utilizza la stessa tecnica di Aristotele per fondere, nella sua trattazione della felicità, le virtù sociali con le intellettuali, sebbene, relativamente alla persona del faylasuf, la felicità sia discussa in relazione alle virtù religiose ed intellettuali. È noto che Averroè sostiene che non c'è alcuna differenza tra il fine della filosofia e quello della religione. Entrambe cercano di pervenire alla felicità e alla verità. La religione consente a chiunque di attingere questi miserabili scopi, mentre la filosofia è riservata a pochissime persone idonee al lavoro intellettuale. [...] La conclusione che Averroè trae, in specie nel Trattato decisivo, è che tutti possono sapere come agire rettamente seguendo i principi dell'Islam, per cui tutti sono in grado di vivere una vita virtuosa, a prescindere dalla capacità di praticarne la contemplazione razionale » (Leaman, An Introduction to Medieval Islamic Philosophy).

 

Originale e audace, tradizionalista e conservatore. Questi aggettivi sembrano convivere nella stessa persona e avere in alcuni punti, proprio per la necessità di tenere insieme fini e situazioni differenti, minato la coerenza di fondo del sistema di uno dei pensatori cruciali per il pensiero medievale e non solo.

 

« Averroè è più importante per la filosofia cristiana, che per quella maomettana. Nella seconda rappresentò un punto morto, nella prima un inizio » (Russell, Storia della filosofia occidentale).

 

30 marzo 2020

 








  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica