Più materialisti ma non troppo

 

Contrariamente a quanto si dice la società contemporanea non sembra affatto essere legata ai beni materiali, per questo sarebbe necessario ricominciare a dare ad ognuno di essi l’importanza che merita. 

 

di Simone Basso

 

G. Courbet, “La filatrice” (1853)
G. Courbet, “La filatrice” (1853)

 

Spesso nelle discussioni che ogni giorno intratteniamo, quando si tenta di fare un’analisi volta a dare un giudizio sulla società odierna, una critica che emerge è quella mossa al nostro atteggiamento nei confronti degli oggetti. Viene constatata al tempo d’oggi una cattiva tendenza diffusa ad attribuire importanza esclusivamente a cose e beni materiali: il cellulare, i vestiti, la macchina, ecc… Ecco allora che nel linguaggio comune si inizia ad utilizzare il termine materialismo, intendendo con esso il mero interessamento agli oggetti materiali, e indicando ciò come la causa di molti dei mali odierni. Cerchiamo allora di andare più a fondo di questo termine così soventemente utilizzato. 

 

Il termine comunemente utilizzato fu inizialmente introdotto dalla filosofia, in particolare per indicare la concezione filosofica che attribuisce ad ogni cosa esistente un’origine materiale; la materia risultava costituire in questo pensiero l’elemento fondamentale di tutto, l’essenza (rinviamo ad altra sede per un’esposizione più adeguata dell’argomento, che qui non si è intenzionati ad approfondire). Fu così che, vista l’estrema rilevanza conferita a ciò che era ritenuto materia, si è iniziato a far proprio l’aggettivo materialista utilizzandolo per indicare qualcuno che mostra, nel modo di comportarsi e di vivere, di dare agli oggetti e ai beni materiali più importanza che ad ogni altra cosa. È in questa accezione che nell’articolo verrà inteso. Il termine si è diffuso tanto che ad oggi sono in molti a ritenere che la società contemporanea sia estremamente materialista

 

Un problema nel rapporto che intratteniamo con gli oggetti evidentemente c’è; già il fatto che questa critica venga rivolta così frequentemente ce lo dovrebbe far intendere. Ma siamo sicuri che tale problema sia proprio quello di essere ad essi troppo legati? Ovvero di essere troppo legati al loro aspetto materiale? Nonostante i molti anni trascorsi da quando si è iniziato ad esprimere per la prima volta queste posizioni, la piega con la quale si sta procedendo non sembra essere cambiata, anzi. Forse, il problema che in molti si accorgono essere fortemente presente nella nostra vita, se definito semplicemente come materialismo rimane troppo vago, poco esplicativo di quelli che concretamente sono i risvolti drammatici a cui assistiamo. Contrariamente a ciò che si dice, il problema che traspare dai nostri comportamenti non è l’essere troppo materialisti, ma il non esserlo abbastanza. Non siamo abbastanza materialisti, ovvero non teniamo a cuore a sufficienza la materia. Ad essa difatti sembriamo non dare alcuna importanza; la maltrattiamo, la trascuriamo, la sostituiamo e la gettiamo via.  Ce ne curiamo talmente poco, da disperderla velocemente e doverne acquistare ogni giorno di nuova. Ci interessiamo così poco della materia che non sappiamo più dove mettere tutta quella che abbiamo e che continuiamo a produrre ed acquisire. La sotterriamo per nasconderla o la serriamo dentro enormi discariche per dimenticarla. Addirittura, la inceneriamo ininterrottamente per liberarcene. Altro che materialisti, sembriamo più dei distruttori seriali di materia, degli scialacquatori di prim’ordine. Eppure, la risposta che molto spesso viene additata come la causa di molti dei mali della nostra società è: l’essere troppo materialisti. 

 

« Viviamo in un mondo in cui gli oggetti materiali sono importanti solo per il loro significato simbolico, per come ci posizionano all’interno della gerarchia sociale, in base a ciò che viene determinato dalla pubblicità e dal marketing. » (Juliet Schor, documentario "Minimalism")

 

Il rapporto che intratteniamo con gli oggetti è povero, e ancor di più lo è con quei valori, di cui essi, nel loro essere materia, si fanno rappresentanti e custodi. Essi non ci appaiono come i mezzi necessari alla nostra stessa realizzazione, ma come meri strumenti dell’affermazione dei nostri momentanei ed effimeri desideri. Non ci appaiono, purtroppo, per ciò che effettivamente sono: i rappresentanti, a noi più vicini, di quella materia alla quale siamo indissolubilmente legati, e dalla quale scordiamo con facilità di appartenere. Non stiamo dedicando troppe attenzioni ai beni di cui ci circondiamo, ma anzi ne dedichiamo troppo poche. Lì dove le “attenzioni” non vengono misurate dal solo tempo che con essi trascorriamo, ma da ciò che in quel tempo, attraverso essi realizziamo. La materia non risulta troppo pensata, bensì mal pensata. È il modo in cui pensare, segnatamente il modo in cui pensiamo le cose e gli oggetti materiali, semmai a costituire un problema, non il troppo pensare alle cose materiali, addotto nelle accuse di materialismo.  

 

Credendoci quindi eccessivamente legati all’aspetto materiale delle cose, il modo migliore che viene individuato per contrapporsi a questa tendenza è l’esaltazione dell’importanza di dedicarsi a quegli ambiti che si crede con la materia abbiano poco o nulla a che fare. Ecco che si va a diffondere così una nuova dicotomia che distingue le cose materiali da quelle immateriali, e che se male intesa può risultare fuorviante. Tale distinzione porta con sé la tendenza ad identificare, per qualcuno, le cose materiali come quelle di scarso valore e le cose immateriali come quelle più importanti, per altri viceversa. 

 

Arriviamo così a credere che da una parte stiano le prime e dall’altra le seconde, illudendoci di poterci occupare in momenti distinti del nostro tempo, a volte delle une, a volte delle altre. Non è così. Ci occupiamo sempre di entrambe perché tutto il mondo, compresi noi stessi, è quell’unità, quell’inseparabilità tra quelli che, a prima vista, ci appaiono come elementi distinti, ma che in realtà non sono: la materialità e l’immaterialità, il pensiero. Infatti, anche quando stiamo costruendo qualcosa, e massimamente ci sembra di occuparci solo della materia, stiamo in realtà dando seguito a quel pensare che ci ha indicato tanto le intenzioni, i modi, le tecniche su come fare a relazionarci con essa, quanto le ragioni, le motivazioni, gli scopi, che in quella materia intendiamo realizzare. E allo stesso modo, anche quando stiamo seduti e altro non facciamo che pensare, e crediamo così di starci dedicando solo all’"immateriale", in realtà stiamo rendendo esplicito, comprendendo meglio, continuando cioè la nostra relazione con quel che abbiamo esperito: toccato, veduto e sentito, vivendo e legandoci maggiormente a quella materia che erroneamente riteniamo in quel momento di non star tenendo presente, ed essere lontana da noi. Il nostro pensare non può che avvenire attraverso e grazie all’esserci delle cose e al nostro inevitabile relazionarci con esse. 

 

Il problema non sta nel valore materiale degli oggetti, che anzi, giorno dopo giorno dimostriamo di non saper riconoscere, bensì nel povero significato che a questi oggetti viene attribuito. La questione quindi non è il loro essere materia né il nostro interessarci eccessivamente ad essa, ma piuttosto il pensiero – inteso come appena descritto, come momento costitutivo del nostro relazionarci con la materia – e le aspirazioni che quegli stessi oggetti sottendono, e che, visto quanto velocemente ce ne sbarazziamo, non risultano essere altro che povere brame passeggere.

 

L’importanza attribuita alla materia, nell’epoca del consumo senza limite, è scarsa, perché in essa non siamo in grado di riconoscere il tramite per la nostra realizzazione. “Tramite” che però, è importante sottolineare, non è uno dei tanti possibili, uno dei mezzi, tra gli altri, con il quale affermarci, ma IL mezzo, l’unico imprescindibile del nostro vivere. 

 

Beni di utilizzo giornaliero che sono un tratto distintivo per l’essere umano, il quale li ha inventati e può decidere come disporne. Ad essi siamo accomunati appunto dall’essere materia; alla quale purtroppo siamo tutt’altro che legati perché ai nostri occhi in essa non vediamo che povere illusioni. Se, infatti, così celermente siamo disposti a liberarci di questi oggetti, evidentemente, ciò che essi sono divenuti (ovvero quell’insieme di pensieri e significati ai quali nel relazionarci con loro abbiamo dato forma) non è risultato essere di gran valore. E, più velocemente ce ne disfiamo, più mostriamo di non essere stati in grado di, in essi, realizzarci. 

 

Quel che ci serve dunque non è una rinnovata capacità di staccarci dalla materialità degli oggetti che ci circondano, ma la capacità di riconoscere in essi quei valori che ci rendano in grado di avvicinarcene veramente.

 

25 gennaio 2019

 








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